«Come funziona la nuova Unità operativa di Villa Aprica a Como»

Incontro con il responsabile della neo struttura lombarda

Dottor Corrado Bait, ha recentemente assunto la guida della nuova Unità operativa di chirurgia articolare e traumatologia dello sport dell'Istituto Clinico Villa Aprica di Como. Una grande responsabilità...

«Ho accettato questo incarico con entusiasmo e determinazione, consapevole che sarebbe stata una grande opportunità. Vogliamo fare di Como un polo di eccellenza per l'ortopedia e la traumatologia dello sport. Ecco perché la scelta dello staff è stata fondamentale: la chiave del successo è il lavoro di squadra. Ogni elemento deve operare in équipe e sentirsi parte essenziale di questo grande progetto che mette al centro il paziente».

Da chi è composto il suo staff?

«Ci sono medici giovani ed estremamente competenti. Il dottor Matteo Cervellin si occupa prevalentemente delle patologie legate a ginocchio, spalla e anca, mentre il dottor Antonio Giardella è specializzato in piede, caviglia e spalla. A conferma dell'estrema attenzione per chi si rivolge a noi, una figura chiave è Mariolina Nugnes, responsabile delle relazioni con i pazienti. Inoltre, l'équipe si avvale della collaborazione di un Senior Consultant del peso del dottor Matteo Denti. È indispensabile che chi affronta un percorso di cura, venga seguito passo dopo passo e non si senta mai disorientato».

È questo il principio alla base del «Fast Track Surgery»?

«Esatto. I pazienti ci chiedono di ridurre al minimo i giorni di degenza in ospedale per tornare a casa il prima possibile ed essere autonomi. Per far sì che ciò accada è necessario ottimizzare tutte le fasi che precedono e che seguono l'intervento chirurgico, secondo i più moderni schemi assistenziali. Tenere informato il paziente rispetto a ciascun momento del processo di cura è fondamentale al fine di ridurre lo stress e facilitare il percorso di riabilitazione».

Quali sono i problemi più frequenti di chi si rivolge a voi?

«Ci sono molti giovani che vengono da noi per lesioni del legamento crociato o del menisco, spesso dovute a infortuni legati all'attività sportiva. Ma sono numerose anche le persone anziane che hanno necessità di interventi per protesi all'anca o al ginocchio. Negli ultimi anni si è parlato molto dell'utilizzo delle cellule staminali e dei fattori di crescita in ortopedia; tanti pazienti ci chiamano per questo. Ma non sempre è la strada giusta...».

Ci spieghi meglio.

«L'uso delle cellule staminali, ad esempio nel post operatorio di un intervento al menisco, può contribuire a ridurre i tempi di degenza e favorire la riabilitazione del paziente. Ma le staminali non vanno considerate un rimedio miracoloso, e l'età gioca un ruolo fondamentale sulla loro capacità di mettere in atto i processi riparativi. La cura può rivelarsi efficace per i pazienti tra i 20 e i 40 anni, mentre per chi è in età avanzata i processi rigenerativi sono compromessi e il ricorso alle staminali può diventare pressoché inutile».

Ci sono altre frontiere che si stanno aprendo nel vostro campo?

«Sto seguendo con grande attenzione la ricerca realizzata dall'Università di Boston sulla rigenerazione dei legamenti nei pazienti adolescenti.

Si tratta di uno studio dalla portata fortemente innovativa che può rivoluzionare il trattamento di alcune patologie. Ne valuteremo con attenzione gli sviluppi, come facciamo per ogni nuova tecnica che può migliorare la vita dei pazienti».

VaB

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