Con Sandokan l’immaginazione all’arrembaggio

Il romanzo «Le tigri di Mompracem» di Salgari iniziò la fortunata serie delle avventure del principe pirata, di Yanez e della bella Marianna

È un romanzo comparso in sordina, un pezzo per volta, elevandosi, a forza di lettori, dal fogliettone alla dignità del rilegato. Uno di quei romanzi che spuntano alla periferia della Letteratura e sono costretti a farsi largo da soli. Per questo, forse, per le traversie sue e del suo autore, Le tigri di Mompracem ha le caratteristiche del libro archetipo, capace di sopravvivere a tempi e mode, a edizioni scopiazzate e mal fatte, ad adattamenti televisivi o filmici più o meno riusciti. Quando, infatti, fece capolino tra il 1893 e il 1894 sulla Nuova Arena, giornale della poco esotica Verona, a firma di un quasi sconosciuto Emilio Salgari, se ne accorsero in pochissimi, tranne qualche deliziato lettore dei caffè di piazza Bra.
Il titolo allora era diverso, La tigre della Malesia, ma già pienamente salgariano e presago della fortunatissima serie malaisiana, forse quella più nota dell’autore. Solo dopo, nella ripubblicazione per l’editore Donath, il testo assunse la titolazione con cui ci è stato tramandato, la sua forma definitiva. Diventando un successo indiscusso.
In questo romanzo, per certi versi «acerbo» (Salgari fu condannato per tutta la sua esistenza alla necessità di una scrittura costante e veloce), ci sono, infatti, in forma di concentrato tutti i temi cari all’autore e capaci di far breccia nel lettore, soprattutto se giovane: l’azione come aspirazione più profonda, il coraggio, una certa furia primigenia dei personaggi, la costante ricerca dell’esotico che si tinge di fantastico, il gusto per il bel gesto.
Così, sin dalla prima pagina, Sandokan, ormai icona indiscussa - assieme al fido Yanez - del pirata buono, ci viene presentato in una notte di tempesta, mentre nella sua capanna sgangherata - ma adorna, per contrasto post romantico e quasi decadentista, di sete, gioielli e broccati - si agita e attende l’arrivo di Yanez, mentre mormora: «Al di fuori l’uragano e qua io! Quale il più tremendo?». E da quel momento il pirata, dal turbante e dai lunghi capelli corvini inanellati d’oro, agisce come per voler dare risposta a questa domanda. Sfida tutto e tutti, non si arrende mai, non perdona niente e nessuno, rispetta solo il coraggio, chi gli si oppone con la stessa fiera protervia che gli è propria. Quella protervia che però è capace di trasformarsi in improvvisa generosità.
Quella protervia che da subito cerca un correttivo nell’amore, nel progetto quasi disperato di andare a incontrare Marianna, la bellissima fanciulla, di cui tutti parlano e che Sandokan non ha mai visto. Quasi una Beatrice, non trasfigurata e da sposare, che plachi le ansie del pirata, che lo umanizzi. Ed è esattamente ciò che dopo mille peripezie succederà. Alla fine del racconto, quando facendo rotta verso Giava Sandokan sceglierà lei, Marianna, rinunciando ad ogni vendetta: «...La Tigre è morta, per sempre...».

Senza psicologismi: l’unica strada per crescere, per diventare adulti non è forse quella? Quando la «furia» dell’adolescenza si placa in un sentimento diverso, per la prima volta definito? Le tigri di Mompracem racconta questo percorso di pacificazione. Salgari poi dovette far vivere mille e millanta altre avventure al suo personaggio, anche per questioni di portafoglio, ma questa è un’altra storia, quella dello scrittore, e non ebbe il lieto fine.

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