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Sanità, la Lega ha una poltrona in più ma il Pdl mantiene le sue roccheforti

Sono freschi di nomina (per un terzo vere e proprie new entry) e hanno di fronte un lungo percorso ad ostacoli: il loro mandato durerà per cinque anni, ma fra tre anni dovranno superare una prova di sbarramento. Altrimenti scatterà la ghigliottina. Eccoli i nuovi, sospiratissimi, direttori generali della sanità lombarda. A scorrere l’elenco dei 45 prescelti, non mancano le sorprese. A fronte di 26 manager sostenuti dal Pdl, la Lega ottiene 19 poltrone, una in più rispetto alle previsioni. Non riesce tuttavia a mettere le mani su Sacco e Fatebenefratelli, che rimangono roccaforti del Pdl, rispettivamente con Callisto Bravi (in quota Formigoni) e con Giovanni Michiara (in quota Berlusconi). Come «consolazione» il Carroccio ottiene la guida dell’Areu, l’agenzia dell’emergenza urgenza, che sarà diretta da Alberto Zoli.
Altro colpo di scena: il Pd, dato per spacciato nella spartizione, avrà una sua poltrona (Claudio Garbelli alla Asl di Lodi). An mantiene quattro poli (San Carlo, l’ospedale di Seriate, l’asl di Brescia, l’asl Milano 2). E nemmeno l’Udc sparisce (Fabio Russo è stato nominato direttore dell’ospedale di Desenzano). La decisione è stata presa dai vertici del Pdl per lasciare uno spiraglio di collaborazione, per dare un segnale politico di apertura. Il Carroccio si rinforza soprattutto nelle province e piazza una manager in più rispetto alle intenzioni iniziali. Questo significa, spiegano in Regione Lombardia, che l’anno prossimo la Lega otterrà la direzione di una sola fondazione ospedaliera e non di due. «Abbiamo voluto proteggere gli Irccs» spiega, a mediazione conclusa, un dirigente del Pdl.
Sono stati appianati tutti i dissapori tra l’assessore alla Sanità Luciano Bresciani, che aveva parlato di nomine proporzionate ai voti elettorali, e il presidente Roberto Formigoni, che per quella dichiarazione era andato su tutte le furie. E, per forza di cose, è stato trovato un accordo anche all’interno della Lega. Sulla lista di nomi promossa dalle tre G (Galli, Gibelli, Giorgetti) è prevalsa quella caldeggiata da Bresciani e «benedetta» dallo stesso Umberto Bossi. Il dietro le quinte delle nomine ha tuttavia rivelato parecchi mal di pancia nel partito delle camicie verdi e, tra gli alleati, c’è perfino chi sostiene che «questo sia solo l’inizio di una spaccatura più profonda».
Formigoni assicura che «sono stati scelti i migliori» e che siano state messe le persone giuste nei posti giusti, in base a puri criteri di meritocrazia. Soddisfatto anche Bresciani che nei metodi di scelta dei direttori vede «la prima reale applicazione del federalismo sanitario».
Nonostante la poltrona ricevuta, il centrosinistra è critico: «Hanno prevalso gli interessi particolari e la spartizione delle poltrone, è andato in scena un teatrino prevedibile e per noi inaccettabile», commenta il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Luca Gaffuri.

Parla invece di «ennesima occasione persa» Sara Valmaggi, pure lei consigliere regionale del Pd. Tra le riconferme c’è quella di Pasquale Cannatelli al Niguarda e tra gli spostamenti più grossi c’è quello di Francesco beretta dagli Icp al San Gerardo di Monza.

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