Santoro cambia nome Dai «Comizi d’amore» al «Servizio pubblico»

RomaNon saranno comizi d’amore, cambia tutto. Basta con il titolo ammiccante e ironico-buonista, vagamente al traino di messaggi politici di parte avversa. Ora Michele Santoro punta alla concretezza impegnata e senza rimuovere l’omaggio a Pasolini lancia un nuovo titolo: «Servizio pubblico». Il nome è quasi scelto, a meno di altre sorprese, per la trasmissione che partirà il 3 novembre, alle 21, ma non sulla televisione pubblica, e nemmeno su La7: verrà trasmessa da un network di canali locali, a partire da TeleCapri con visibilità anche su Sky. Santoro ha sciolto le riserve ieri chiacchierando con Radio24. «La trasmissione si intitolerà Servizio pubblico, credo di sì», ha svelato. Dispiace per la mancata citazione pasoliniana: «L’intenzione di rendergli omaggio rimane e quindi qualcosa faremo». Ma «servizio pubblico sta avendo un grandissimo successo». Le puntate saranno l’una e l’altra cosa secondo l’ex conduttore di Annozero: «Un atto di amore nei confronti del servizio pubblico». Dire che non andrà mai più in Rai «mi sembra una maledizione», spergiura, e anzi, il cuore batte sempre là: «L’ho detto e lo confermo, io sono della Rai ma non potevo continuare a lavorare contro la volontà del mio editore».
Per Santoro, la confessione radiofonica è l’occasione per fare il punto sul suo rapporto di amore e odio con la Rai: gli ultimi tempi «erano uno stress psicologico enorme. Io non solo dovevo lavorare e fare profitti, ma poi dovevo difendermi coi miei soldi dalle aggressioni che l’azienda mi faceva, usando i soldi che noi stessi avevamo portato nelle loro casse».
Dallo sfogo alla spiegazione del gran rifiuto, a La7, la mancata firma: «Al momento dell’accordo - ricostruisce il conduttore - è venuta fuori una richiesta di poter sottoporre ogni nostra azione della nostra trasmissione a verifiche del loro ufficio legale. Questo in violazione dei contratti che tutelano l’autonomia dei giornalisti». Altri hanno accettato senza troppe storie? «Gli altri - la risposta dell’ex fustigatore di Raidue - cercano di svolgere il loro lavoro al meglio. Io posso permettermi di ribellarmi a condizionamenti che tutti i giornalisti subiscono in Italia, sanno benissimo di subire ma non hanno la forza di portare in piazza». Lui, Santoro, si può «permettere» grazie «alla mia popolarità e alla mia età di affrontare un’avventura diversa». Ma è anche una battaglia, dice, altruista: «Io lo faccio anche per gli altri, anche per coloro che accettano questa situazione». È il sistema ad essere sfasato, Santoro non se la prende, sorpresa, in particolare con Berlusconi: «Solo in Italia si considera la politica arbitro dell’informazione». Per rendere l’Italia «un Paese normale» si dovrebbe partire con l’ «allontanare i politici dall’informazione. Finche noi giornalisti non ci indigneremo vuol dire che saremo in una condizione di semilibertà».
Lo stile del programma non sembra cambiare di una virgola rispetto al solito: di fronte a eventuali «intercettazioni di rilievo pubblico» se ne darà visibilità «con un atto di disobbedienza civile».

E a proposito della definizione di «pornocronista» data dal premier ai giornalisti più appassionati alle feste di palazzo Grazioli, Santoro si definisce «un porno-cronista anche senza i materiali pornografici che Berlusconi spontaneamente fornisce alla cronaca. Le intercettazioni sono sputtanamento? Dopo aver visto la Merkel e Sarkozy che sghignazzavano, mi sembra che siamo abbastanza sputtanati a livello mondiale».

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