Tra Santoro, Lele Mora e «bunga bunga» l’Italia sceglie Mameli

A un certo punto, sopraffatto dal suo istinto giullare e dal fremito mascalzone, Benigni si è rivolto direttamente al telespettatore Silvio Berlusconi: «Silvio», ha detto aggirandosi frenetico sul palco dell’Ariston, «se non ti piace cambia canale e vai sul Due. Anzi no! Di là c’è Santoro. Mamma mia che serataccia! Stasera è meglio se vai a letto...».
Invece no. Tra i 15 milioni e 398mila (50,23 per cento) che avevano gli occhi puntati sul Benignaccio che incantava con Mameli e i 4 milioni 250mila (14,13%) sintonizzati sul Santoraccio che ravanava nel bunga bunga, son ben pochi gli italiani andati a nanna presto. Il raffronto è schiacciante, ancor più impietoso se si prende il picco di audience per la performance di Benigni: alle 22,42 erano quasi 20 milioni i telespettatori che seguivano l’esegesi di Fratelli d’Italia. Non poteva certo prenderlo bene il conduttore di Annozero un calo di sette, otto, anche dieci punti di share dal suo frequente se non abituale 23-24 per cento. Ai suoi occhi il confronto è un affronto. E difatti: «Benigni è sempre Benigni. Ma è stato usato per cancellare la diversità. L’operazione, grazie a voi, non è riuscita», ha scritto Santoro sul suo sito per ringraziare i fedelissimi. Non senza lamentare però che il «monologo di Benigni è durato 52 minuti» e che «questa volta Sanremo non ha ospitato una straordinaria performance ma ha inglobato un intero show».
Del resto, si può capirlo. All’Ariston si celebrava il grande evento, ad Annozero andava in scena l’ennesima, rituale puntata della telenovela anti Cav sceneggiata col Rubygate. Un po’ come paragonare una finale dei Mondiali di calcio, o almeno di Champions League, con una partita di cartello del campionato che si gioca ogni maledetta domenica. A Sanremo si esibiva un premio Oscar, l’artista più dissacrante del bigoncio. Su Raidue partiva l’obliquo sermone di Travaglio. In riviera si commemoravano il Risorgimento e i 150 anni dell’Unità. Nell’arena di Santoro tirava un’aria da Terrore. Da una parte Fratelli d’Italia, dall’altra voyeur d’Italia. Garibaldi contro Lele Mora (e i suoi insulti da staffe perse contro Formigli). Cavour contro Ferrara. Il Tricolore contro le mutande. La Russa dell’Ariston contro La Russa del Dal Verme (e i suoi pestoni al solito Formigli). Insomma, un confronto ímpari. Perché, anche quando Benignaccio si è sbizzarrito in zona bunga bunga («Silvio Pellico ha scritto Le mie prigioni, un libro bellissimo... Prima di trovare un altro Silvio che scriva un libro così...), l’ha fatto con una levità sconosciuta agli attori della novela santoriana. Cioè: il bunga bunga di un clown sopraffino è tutt’altra cosa da quello di un giornalista supermilitante.
E proprio da qui, forse, si può trarre un altro piccolo segnale. Annozero ha straperso, è vero. Ma forse una parte della sua sconfitta, di cui avrà certamente goduto il dg della Rai Mauro Masi, viene anche dai primi sintomi di rigetto causati dall’overdose da intercettazioni, processi mediatici e crisi istituzionali. Il Rubygate faccia il suo corso nelle sedi prestabilite, tribunali, Parlamento e tutto il resto. Gli italiani han voglia di staccare lo sguardo dalle Arcore’s nights, di riempirsi i polmoni di aria pulita e ricrearsi lo spirito, magari persino ridendoci su. Comunque, abbassando i toni, come direbbe Napolitano.
Non a caso, secondo quanto lasciato intendere dal presidente della Rai Paolo Garimberti e dal direttore del primo canale Mauro Mazza, l’esibizione di Benigni è stata apprezzata anche sul Colle più alto. Oltre che nei palazzi vaticani come testimonia l’articolo pubblicato dall’Osservatore Romano e intitolato «L’irresistibile forza della Bellezza». Un trionfo, insomma. Un grande momento di televisione che, a differenza di Annozero, ha avuto pure il merito di unire - da Bersani a La Russa - quasi tutto l’arco costituzionale come si diceva una volta. E come peraltro era nella mission di una serata così, iniziata con i duetti e le canzoni che, clamorose dimenticanze a parte, hanno fatto la storia del Paese.
L’unica, prevedibile, dissonanza viene dagli ambienti della Lega che chiedono di «moralizzare i compensi troppo alti».

Pur apprezzando «l’esegesi dei testi», il viceministro Roberto Castelli ha trovato Benigni «un po’ noioso». Ma alla fine dandogli retta, ha fatto zapping con Santoro «sempre interessante e di una faziosità che ha una sua dignità». Chissà se «sul Due» avrà trovato consolazione.

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