Tutto è segno per chi crede. Sto parlando di segni semplici, che parlano al cuore e danno un sereno sollievo ai nostri giorni tribolati. Segno è una piccola cosa, un incontrare in forme, luoghi e momenti diversi delle coincidenze che ti fanno dire: «Ma guarda che bello, ma allora sono seguito, amato. Qualcuno con silenziosa premura mi sta vicino. Sempre».
Insomma, se non abbiamo paura del soprannaturale - e invece ne abbiamo -, segno può essere anche una «strizzatina» d'occhi di Dio, come ebbi modo di definire il fenomeno del sole che danza, a Medjugorie. Fenomeno donato a me e a tanti altri, il 1 Maggio 87. Strizzatina d'occhi di Dio che vuole scendere dal suo trono infinito e farsi di nuovo uomo, e piccolo, per accontentare un povero peccatore come me.
Dunque il fatto. Con un amico commentavamo l'entusiasmo che mettiamo nel difendere la nostra Fede. Siciliano lui, e calabro/emiliano io, ci dicevamo che dovremmo essere più diplomatici. D'altra parte il fatto di riconoscere la forma un po aggressiva, era già un corretto mea culpa.
Concludemmo ricordando la parabola del padre che dice ai due figli di andare a lavorare nei campi. Uno risponde che non ne ha voglia ma poi bofonchiando ci andrà. L'altro, compìto, si dichiara disponibile ma non si muove. Bene, io ed il mio amico apparteniamo alla prima categoria, vedremo semmai di controllare la forma...
Ora un salto in avanti. Mi capita tra le mani un libretto che riporta la breve, straordinaria vita di Chiara Badano, ribattezzata Chiaraluce da Chiara Lubich la fondatrice dei Focolarini.
Chiara è una bella ragazza amante della vita, estroversa, sportiva, nata e vissuta al Sassello, bel paesone sui monti in provincia di Savona. Un giorno - siamo nel 1990 - mentre sta giocando a tennis, Chiara sente una fitta fortissima alla spalla destra, non riesce più a tenere la racchetta in mano. Si parla di una costola rotta, poi di altro disturbo.
Esami, Tac. Il verdetto: sarcoma osteogenico con metastasi, uno dei tumori più spietati. Tutto questo a diciotto anni quando il sangue e la vita scorrono a trecento all'ora.
Chiara viene a mancare dopo dieci mesi di sofferenze offerte al Signore. Alla fine rifiutava la morfina, offrendo la sua sofferenza per i peccatori. E ora parliamo del segno che dicevo. Il giorno dopo la chiacchierata col mio amico, rileggo per caso il libretto su Chiaraluce. A pagina 12 e 13, viene riportato un episodio della sua infanzia. Lo trascrivo integralmente: «...si raccontano di lei cose significative. Un giorno, ad esempio, la mamma le propose di aiutarla a sparecchiare la tavola: «No, non mi va, - risponde Chiara incrociando le braccia. Si dirige verso la sua cameretta ma non vi giunge nemmeno, perché nel giro di pochi secondi torna sui suoi passi e dice: «Com'è quella storia del Vangelo, di quel padre che aveva detto ai figli di recarsi nella vigna, e uno aveva detto di sì e non c'era andato, mentre l'altro che aveva detto di no poi ci era andato? Mamma, mettimi il grembiulino». E si mette a sparecchiare.
È tutto qui, e il segno? Eccolo: la concomitanza tra la chiacchierata col mio amico e la frase di Chiara.
Uno arriva a settant'anni, crede di essere saggio e colto, poi gli capita di assaporare una cosa così piccola e risibile agli occhi del mondo ma bella, turgida, da gustare, almeno per me che mi ritrovo ancora una volta coinvolto nella magia della parola di Cristo quando esclama: «Ti ringrazio Padre che hai nascosto queste cose ai sapienti e ai potenti e le hai rivelate ai piccoli ed agli umili».
Quanto sono contento di non essere sapiente. Chiaraluce mi ha capito. Riprendo a parlare di lei, di Chiaraluce, della quale mi sto innamorando giorno dopo giorno, così come può innamorarsi un nonno di una nipote sana e sorridente e tennista. Da tre o quattro anni mi ripromettevo di andare al Sassello a trovare Chiaraluce. Fantasmavo che la ragazza mi chiamasse, che fosse viva, con la sua giovinezza esuberante. Del resto chi ha un briciolo di Fede, sa che tempo e spazio sono stati da noi inventati per organizzare la nostra vita su questa terra. Ma spazio e tempo, nel disegno di Dio, non esistono. E allora, Chiaraluce, ti verrò a trovare.
E vado a trovarla nel cimitero invaso dalla neve. Tranquillità, silenzio, sole che saetta sulla neve. Riesco in qualche maniera ad entrare nella tomba di famiglia di Chiara, una specie di chiesetta, un cancelletto allegro e sempre aperto. E fiori, lumi, foto della ragazza.
Sopra il cancelletto la scritta «Venerabile Chiara Badano». Scopro più tardi, parlando col suo papà Ruggero, che è in corso avanzato il processo di beatificazione di questa sorridente ragazza.
Qualcuno mi indica la Chiesa della Santa Trinità, sembra che ci sia un altare a Chiara dedicato. Entro nella gelida Chiesa e tanto per cambiare trovo la solita statua di Teresina del Bambin Gesù, che mi guarda.
Chiara diceva, negli ultimi giorni di agonia: «Se lo vuoi Tu Gesù, lo voglio anch'io», le stesse parole della santa di Lisieux, Teresina, mia eccellente e giovane amica. Una grande foto di Chiara è posta su un altare sulla destra. Anche qui mi sono fatto una chiacchieratine con lei, e sono uscito col cuore contento. Il padre Ruggero l'ho trovato chiedendone testardamente notizie a destra e a sinistra, nei bar, per strada e in un ristorante. Mi presento e ci intendiamo subito, ci sediamo su una panchina a prenderci il sole e a parlare della figlia.
Spesso le figlie prendono dal padre fisionomia e carattere. È così anche nel caso del papà di Chiara. Papà Ruggero ha un viso sereno e vivace e parla sicuro come se Chiara fosse anche lei sulla panchina a contarcela su... Dico a papà Ruggero di quell'anno, il 1990, anno della mia «grande ombra». L'anno in cui Padre Slavko a Medjugorje spese un pomeriggio per me e mi benedisse, credendoci in quella benedizione.
Chissà, forse nell'ottobre di quell'anno in cui Chiara se ne andò in Cielo, qualcuna delle sue preghiere non fosse rivolta anche per me. Vedremo più tardi, in Paradiso.
Chiara voleva andare a Medjugorje, ma l'inizio della malattia non glielo permise. Certamente è stata a Medjugorje più di noi, credo la conosca molto meglio dal suo insolito punto di vista.
Papà Ruggero mi parla del vescovo di Acqui, Monsignor Livio Maritano che da anni si sta battendo per la causa di beatificazione. E mi parla anche del vescovo di Savona Noli Monsignor Vittorio Lupi, anche lui spesso al Sassello a trovare Chiara.
A casa vado su Google dove trovo tutto di Chiara. Libri su di lei, immaginette, foto una più bella dell'altra, notizie. Eppure preferisco il mio modo di averla conosciuta. Personale, intimo, da vecchio amico. Sì, perché è così che si gusta la realtà, è così che si frequenta Chiara, ragazza viva, sorridente e non virtuale.
Quel pomeriggio, arrancando sulla neve, riuscii ad entrare nella tomba di famiglia di Chiara. E non c'è Google che tenga: lì, in quella Chiesetta, mi sono intrattenuto a pregare e a parlare, da vecchio tennista a una giovanissima promessa.
L'entusiasmo a volte può far sorridere, ma io me lo tengo, mi piace entusiasmarmi anche dell'impossibile, è come se io solo avessi scoperto Chiara, non altri.
Siamo alle solite: abbiamo tesori a portata di mano e non lo sappiamo, o rimandiamo, o lasciamo fare agli altri. Ma «gli altri» siamo noi ai quali e richiesto di «Svegliarci dal sonno».
In questo caso gli «altri» sono io che me la sono gustata, questa giovane venerabile in un luminoso pomeriggio fresco di giovinezza e di certezza.
Mi sono fatto promettere dal padre che, appena possibile, potrò impugnare la racchetta da tennis di Chiara. Per ora la cameretta di Chiaraluce e tutte le sue cose - racchetta compresa - sono sigillate e inaccessibili a garanzia del processo di beatificazione che è in dirittura darrivo.
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