LA SATIRA CORROSIVA DI «THE OFFICE»

La versione americana dell’omonima serie inglese The Office giunge ora sui nostri schermi satellitari (canale Fox, lunedì, ore 21) e si rivolge a un pubblico desideroso di sorridere con un tema che, da Fantozzi fino a Camera Café, cerca di sublimare in chiave umoristica le classiche frustrazioni proprie di ogni ambiente di lavoro, i problemi legati alle difficili relazioni tra colleghi, i colpi bassi, le velleità di capi e capetti che millantano competenze e capacità quasi mai effettive. Siamo negli uffici dell’azienda Dunder Miffin (una compagnia che produce articoli di cancelleria) gestita dal manager megalomane Michael Scott, interpretato da quel Steve Carell che è noto al grande pubblico per essere il protagonista della commedia 40 anni vergine. La finzione scenica vuole che una troupe, impegnata a preparare un documentario sulle moderne tecniche manageriali, inizi a riprendere la vita quotidiana d’ufficio, facendoci via via familiarizzare con la goffa inconsistenza del capo e con il malinconico tran tran degli impiegati, costretti a ridere alle sue battute, a interrogarsi periodicamente sulla precarietà del proprio stato, a sfogarsi infantilmente con il vicino di scrivania pur di sopportare un destino cui non riescono a sottrarsi (soffrono la routine da impiegati, ma vengono presi da ovvio sconforto di fronte alla minacciata ristrutturazione aziendale). Il segno stilistico del telefilm, che lo avvicina molto alla versione inglese, è il realismo quasi documentaristico con cui viene fotografata la mediocrità umana prima ancora che professionale, la competitività di basso profilo, la lotta annaspante e un po’ patetica per farsi spazio. Il ritmo del racconto non è frenetico - come avviene generalmente nelle sitcom - ma compassato, le battute non arrivano in forma incalzante ma passano attraverso intervalli che paiono studiati apposta per far prendere piena forma alle fragilità proprie di uno stato di cattività. L’ufficio è descritto come un luogo in cui si ride per non piangere, dove la sopravvivenza è affidata a una commedia umana da palcoscenico di seconda fila. Steve Carell ha la faccia giusta per dare forma al cinismo spensierato del manager bugiardo e paraculo, capace di annunciare a una sua dipendente un licenziamento per scherzo, di fingere un decisionismo che non gli appartiene, di gigioneggiare senza ritegno ritenendosi spiritoso.

The Office dispensa più pessimismo che comicità, produce una satira più amara che corrosiva, lascia nello spettatore un retrogusto malinconico riscattato però dalla felice caratterizzazione d’ambiente, da una serie di pennellate ironiche che piaceranno a un pubblico sofisticato, che non si accontenta soltanto della risata facile e immediata.

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