Roberto Saviano ha fatto il primo passo in politica. Neanche troppo timido. In ballo ci sono le sorti della sinistra nella sua città, Napoli. Lo scrittore ha preso una posizione netta sulle primarie del Partito democratico in cerca dell’«erede» del sindaco Rosa Russo Iervolino. Una commedia, tragica per l’immagine di Bersani e soci, finita fra accuse reciproche, sospetti di brogli e, a sentire Saviano, perfino «infiltrazioni della criminalità organizzata». Ricapitoliamo brevemente. Ha vinto, con un vantaggio di pochi voti, Andrea Cozzolino, europarlamentare ed ex assessore regionale di lungo corso. Molto vicino ad Antonio Bassolino. È stato sconfitto il riformista Umberto Ranieri, sostenuto dal partito. I militanti non hanno avuto neanche il tempo di chiudere le urne, domenica scorsa, e rallegrarsi della buona affluenza. A metà mattina, avevano già da recriminare, oltre a Ranieri, anche gli altri candidati (Libero Mancuso di Sinistra e libertà; l’attuale assessore comunale alla Cultura Nicola Oddone). Sono seguiti a ruota: ricorsi, sedi invase, lotta per fazioni a colpi di metaforiche cannonate. «Hanno comprato il voto degli extracomunitari pagandoli cinque euro». «Hanno portato ai seggi elettori e consiglieri del centrodestra». «Vogliono scipparmi la vittoria»... e così via, nella migliore tradizione autolesionista della sinistra italiana. Il danno è tale da far saltare anche l’assemblea nazionale in programma domani e sabato nel capoluogo campano.
A questo punto arriva Roberto Saviano, con un intervento trasmesso da Repubblica.tv. «Mi pare che le primarie di Napoli si siano svolte nel caos più completo. In alcuni casi sono stati allontanati perfino i giornalisti. Mi chiedo perché. Questa situazione va chiarita. Il Partito democratico deve essere al di sopra di ogni sospetto». Quindi la richiesta di azzerare i risultati e ripetere le consultazioni: «Bisognerebbe rifare e chiarire immediatamente tutto. I vertici nazionali intervengano». Così parla un leader di partito. Tanto più se avanza una candidatura, quella del magistrato antimafia Raffaele Cantone: «In queste ore c’è da rimpiangerlo, sarebbe stato una garanzia contro tutto questo». Il nome del pubblico ministero era già saltato fuori. L’aveva suggerito Walter Veltroni lo scorso 26 novembre al Teatro Eliseo di Roma. Non sorprende quindi che il primo a scattare sull’attenti dopo le parole di Saviano sia stato il veltroniano Dario Franceschini: «Un’idea forte, intelligente e in grado di superare la brutta crisi di queste ore con un atto di coraggio». Gli altri dirigenti, incluso Bersani, ora hanno un problema: come faranno a rispondere «No, grazie» a un simbolo, a un monumento, a un idolo? Per la sinistra Roberto Saviano vuol dire legalità. E se la legalità in persona afferma che ci sono «infiltrazioni criminali» nelle primarie c’è poco da discutere, soprattutto in un partito senza una vera leadership.
Nella biografia di Saviano, l’uscita di ieri è l’ennesima tappa di un «crescendo» militante, iniziato con la partigiana trasmissione Vieniviaconme, successo in coabitazione con Fabio Fazio. Lo scrittore non aveva mai nascosto le sue simpatie per la sinistra (del resto basta leggere Gomorra con la sua visione radicalmente anticapitalista). Ma fino ai monologhi su Raitre, tutto sommato si era limitato a una lunga stagione di appelli e sottoscrizioni, una regola a cui non si sottrae alcun intellettuale italiano «impegnato». Poi ci sono state le puntate a senso unico con le liste dei valori di destra e di sinistra, e peccato che a rappresentare la prima ci fosse Gianfranco Fini (ora all’opposizione). Una decisione maliziosa, per delegittimare il Popolo della libertà, in questo modo condannato a recitare la parte della Destra cattiva e impresentabile. Quindi le stoccate alla Lega Nord, accusata di collusione con la ’ndrangheta, a cui si voleva negare diritto di replica con l’argomento surreale che contrapporre opinioni diverse non sarebbe sinonimo di democrazia. Non sarà sinonimo, ma certo aiuta. Infine il tema dell’eutanasia, dalle evidenti ricadute politiche, trattato solo dal punto di vista laico. Un programma da tifosi. Da tesserati. Al Partito democratico.
In questo senso, assume una luce diversa anche la recentissima dedica della laurea honoris causa in legge ai magistrati «Boccassini, Sangermano e Forno che in questi giorni stanno vivendo giornate complicate solo per aver fatto il proprio lavoro». Schierarsi senza omaggiare i pm del Rubygate? Sarebbe stata una falsa partenza.
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