Sberle ai bimbi, un mese di carcere alla maestra

Il tribunale: «Abuso dei mezzi di disciplina su alcuni allievi»

Sberle ai bimbi, un mese di carcere alla maestra

da Catania

Non è più tempo di maestre «cattive». La severità da diversi decenni ha dei limiti e non serve usare le mani per farsi rispettare. Ma la vicenda di una scuola elementare catanese mostra anche il disagio degli insegnanti, professione sempre più a rischio, dove è facile perdere la testa. Una professione fragile che finisce sempre più spesso al centro delle cronache. Ecco la storia. Quando perdeva la pazienza puniva i ragazzi con metodi disciplinari ferrei, poco ortodossi. Spintoni fino a farli sedere e addirittura qualche schiaffo. Una insegnante vecchio stile insomma, che, fortunatamente, almeno non utilizzava la classica bacchetta. Per il resto però, secondo i giudici del Tribunale di Acireale, alcuni ragazzi della scuola elementare «Alessandro Manzoni» di Santa Venerina, subivano delle punizioni esagerate. Tanto è vero che qualcuno dei ragazzi riferì tutto ai genitori e l'insegnante finì sotto processo. Evidentemente, le accuse e i riscontri erano così tanti, che la docente ha finito con il patteggiare la pena e il giudice monocratico di Acireale, dove si è svolto il dibattimento processuale, l'ha condannata a un mese e dieci giorni di reclusione. Il giudice, Adriana Puglisi, ha però ordinato la sospensione condizionale della pena. L'accusa mossa all'insegnante era di «aver abusato con più azioni dei mezzi di disciplina a danni di alcuni alunni».
L'episodio che spinse qualche alunno a riferire tutto ai propri genitori risale al febbraio del 2004. L'insegnante, secondo le accuse, prese di mira degli alunni, tre in particolare, appartenenti a una terza e ad una quinta classe. Secondo quanto è stato ricostruito dagli inquirenti (scritto tutto a verbale), l'insegnante maltrattava i ragazzini strattonandoli, spingendoli con violenza fino a farli sedere e in alcune occasioni schiaffeggiandoli. Ma non solo: in diverse occasioni la maestra avrebbe usato un linguaggio triviale per tenere alta l'attenzione degli alunni. Un metodo educativo che non era condiviso da una collega di modulo e dalla direttrice della scuola, che aveva raccolto le lamentele dei genitori. Diverse mamme, si unirono al coro di protesta presentando denuncia alla magistratura. La vicenda per lungo tempo è stata oggetto anche di una ispezione ministeriale, sollecitata anche dallo stesso dirigente scolastico dopo alcune lettere ricevute e dopo una serie di colloqui effettuati con i genitori. L'imputata dopo la denuncia si è subito difesa, asserendo che non aveva fatto nulla di male ai ragazzini puntando il dito contro colleghi e genitori degli alunni. In un primo tempo la maestra ha parlato di un complotto contro di lei, ordito - a suo dire - da alcuni genitori che non la tolleravano non tanto per le maniere forti, quanto per sua severità.


Con il tempo, ha cambiato versione fino a chiedere il patteggiamento della pena. Dopo tre lunghi anni l'insegnante era molto stanca di giudici e avvocati e ha deciso di prendersi la condanna pur di uscire fuori dal tunnel dove si era cacciata.

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