Scala, Maazel dà una lezione ai giovani

Il direttore si confessa: «Mi ritirerò prima di essere troppo avanti con gli anni. Ma a 76 suonati, mi sento lo stesso di sempre». Il 13 giugno tornerà al Piermarini per guidare la New York Philharmonic

Elsa Airoldi

«Quando vedo i direttori avanti negli anni penso che per me non sarà così. Mi ritirerò prima. Anche se a ben guardare quel prima, a settantasei suonati, è già arrivato e anche passato. Il fatto è che mi sento lo stesso di sempre. Stesso dinamismo, stessa voglia di conoscere, fare e dare, stesse curiosità. Insomma non riesco a dire di no». Niente pare stancare Lorin Maazel, né appannarne il fascino che lo rende il più charmeur degli uomini. A settantacinque anni il nostro «americano a Parigi» re della bacchetta, ha addirittura scritto la sua prima opera, «1984» (da Orwell). Un lavoro di grande impatto per la fruibilità della musica e l'attualità dell'argomento (appunto, il Grande fratello).
Il debutto londinese ha richiamato schiere di giovani, lusingato il compositore e fatto storcere il naso alla critica. Troppe citazioni, troppi cliché, troppe contaminazioni… Ma tant'è, dopo la Traviata della prossima stagione, «1984» si aggiudica la scena del Piermarini. A ogni incontro Maazel ci aveva stupiti per l'assoluta coerenza tra l'essere e l'apparire. Per quell'aria di uomo che sta bene con se stesso. Lo ritroviamo malinconico. Un velo che copre anche le recite di Tosca. Civilmente preoccupato. Musicalmente addolorato per la carenza di direttori veri. Come i Kleiber, i Klemperer, i Walter e i Furtwängler che negli anni Trenta si facevano le ossa in quel di Berlino. Per loro era tirocinio di anni. Adesso la parola d'ordine è «giovani». E il vissuto, l'esperienza, il background culturale del direttore? È autogestione. E la disciplina, la compattezza, la unicità dell’orchestra?
Maazel sta provando il concerto della Stagione sinfonica della Scala (in scena da oggi a domenica). Un teatro che lo vedrà tornare il 13 giugno con la sua New York Philharmonic a pochi giorni dall’inaugurazione di Ravenna Festival, il 17. Il 18 l'orchestra passerà invece nella mani del padrone di casa Riccardo Muti. Che invero della New York è un punto di riferimento. E per la consuetudine, e perchè d'ora in poi le dedicherà ogni anno quattro settimane. Una bella gara tra i due grandi. Iniziata con la doppia inaugurazione della Fenice, continuata con il Concerto di capodanno diretto da Muti a Vienna e da Maazel a Venezia. Con la famosa diretta tv scippata al Musikverein. E consolidata dall’attività parallela nella Bassa. Uno a Piacenza con la Cherubini e l'altro a Parma con la Toscanini. Ce ne fossero!
Sui leggii della Scala intanto Mozart, Sinfonia in do maggiore K 551 Jupiter e Schumann, Sinfonia n.2 in do maggiore op. 61. La Sinfonia n. 41 è l'ultima di Mozart. Terminata nell'agosto del 1788, segna il momento più straordinario del sinfonismo dell'autore. L'organico orchestrale al completo è reso fastoso dall'utilizzo di ottoni e timpani. Il taglio contrappuntistico raggiunge un'intensità tale che nel Finale quasi confonde la struttura della forma sonata con l’elaborazione della fuga.
Infiniti gli spunti tematici, che si incalzano all’interno dei singoli movimenti. Do maggiore anche per la Seconda di Schumann. Sono gli anni che vedono Robert dare lezione di contrappunto a Clara sulla scorta del Cours de Contrepoint di Cherubini.

E importante impegno contrappuntistico vena la sinfonia. Quattro movimenti, ricchezza di richiami tematici, preziosità di inventiva timbrica. La sinfonia op. 61 vede la luce al Gewandhaus di Lipsia nel 1846. Sul podio Mendelssohn.

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