La raccolta di firme per chiedere che Fini si dimetta da presidente della Camera ha superato quota 150mila. E ancora ne continuano ad arrivare in redazione. Lo slancio di indignazione di lettori e semplici cittadini testimonia che la questione politica esiste eccome e che non può risolversi con il silenzio del presidente e dei grandi organi di informazione, che dopo aver posto (Corriere, Repubblica, L'Espresso) timide domande si sono accontentati di non risposte e hanno velocemente archiviato la pratica, non facendoci tra l'altro neppure bella figura con i propri lettori. Il perché è ovvio: ammettere che esiste in Parlamento un caso Fini significa aprire una falla nel fronte antiberlusconiano che sta tentando il golpe del ribaltone in corso d'opera. Meglio quindi turarsi il naso, fare una pausa etico-professionale e tenere confinata la questione della casa di Montecarlo nella casella del gossip giornalistico, e pure di parte perché frutto d i una inchiesta del Giornale . Perché se invece il caso si saldasse con l'evidente stridore di un presidente della Camera non più rappresentativo della maggioranza che lo ha eletto, anzi ad essa ostile, beh, allora per Fini sarebbe davvero difficile rimanere attaccato alla poltrona sulla quale oggi siede. Il tentativo di insabbiare tutto, complice l'ultimo scampolo d i vacanze, è ben orchestrato. Ieri, s u Repubblica , Giovanni Valentini si è arrampicato sugli specchi cercando di dimostrare una analogia tra il caso D'Addario e quello in questione, sollevando anche l a questione del conflitto di interessi per via che l'inchiesta del Giornale , di proprietà della famiglia Berlusconi, avvantaggerebbe il politico Silvio Berlusconi. Un giornale, sostiene Valentini, non dovrebbe occuparsi di questioni che coinvolgono il suo editore. Ricetta che Repubblica applica alla lettera, tanto che non ha indagato sulle voci di malversazioni che circolavano attorno alla famiglia del suo editore, Carlo De Benedetti, e che hanno poi portato a una accusa giudiziaria di insider trading, cioè di truffa ai piccoli risparmiatori. Anzi, ha fatto di più: non solo non ha indagato, ma non ha neppure chiaramente informato i suoi lettori nascondendo con abilità la notizia, una volta di dominio pubblico, guardandosi bene d i citare nei titoli i n omi delle persone indagate. Ora questi professionisti dalla schiena diritta vogliono far passare l'idea che quello che succede nel letto del premier (cosa sulla quale la magistratura è stat a pure costretta a d indagare chiudendo subito il fascicolo per ovvia assenza di qualsiasi reato) sia sullo stesso piano di ciò che accade a un patrimonio immobiliare di un partito. Anche uno stupido arriva a capire che c'è una bella differenza tra discutibili ma legittime pulsioni e centinaia di migliaia di euro che spariscono in società di paradisi fiscali e che poi si rimaterializzano a disposizione del cognato del presidente della Camera. Il primo caso è certamente gossip, e pure di basso livello, il secondo è una ipotesi di reato incompatibile con la terza carica dello Stato. Noi continuiamo a continueremo a chiedere spiegazioni, anche se in questo siamo lasciati soli da ministri e alti papaveri del Pdl che si guardano bene da porre con forza l'alternativa: o chiarimento immediato e convincente o dimissioni. Il perché di queste cautele è ovvio: in politica non si sa mai come va a finire ed è meglio non esporsi troppo. Pazienza. Abbiamo dalla nostra migliaia di lettorielettori molto più coraggiosi dei loro eletti.
Ci bastano loro. E ci basta la figura terribile che stanno facendo i cosiddetti grandi e liberi giornali, sempre pronti a dar lezione ma che si sono svelati per quello che sono, cioè campioni di insabbiamento e partigianeria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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