Mentre un consigliere di Palazzo Chigi scriveva un dettagliato piano di riassetto per Telecom, la magistratura concludeva le indagini sulle intercettazioni illegali e ordinava l'arresto di alcuni dirigenti dellazienda. I fatti sono diversi, i piani non intersecabili, ma in queste ore in cui i toni da notte della Repubblica si sprecano c'è chi punta a confonderli per ottenere il risultato di accantonare il problema politico (il caso Rovati-Prodi) e lasciare in primo piano quello di una banda di interceptor sulle cui attività criminali la magistratura indaga non da ieri, ma da quasi tre anni. E allora lo stupore scoppia in ritardo e il clamore serve a fini meno alti.
Non c'è nessuna democrazia in pericolo, ma un Paese che ha fatto delle intercettazioni (legali e illegali) un ignobile strumento di battaglia politica ed economica, c'è un gigante delle telecomunicazioni con gravi problemi di sicurezza aziendale che ha sì sul groppone 40 miliardi di debiti ma anche un flusso di cassa di sette miliardi di euro l'anno. Un piatto troppo grande per essere mangiato da un solo cliente del ristorante della politica. E per questo lo chef di Palazzo Chigi preparava un indigesto spezzatino condito di statalismo e dirigismo che riporta ai tempi ingloriosi di un carrozzone chiamato Iri.
Menù di cui il Paese non ha bisogno e bene ha fatto il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a evocare laltro ieri limmagine terribile «dellIdra a tre teste» denunciando «linvadenza del pubblico in economia».
Troppo facile chiudere una faccenda del genere a Tavaroli e vino. Troppo facile riunire un Consiglio dei ministri, approvare in fretta e furia un decreto legge che mette un coperchio sul pentolone maleodorante delle intercettazioni illegali e dimenticarsi che il problema del «telefono nemico» riguarda anche le intercettazioni legali - un numero esorbitante che non ha eguali in nessun Paese occidentale - con le quali in Italia si aprono e chiudono carriere politiche, finanziarie, perfino sportive e televisive.
E lo show del centrosinistra dovrà andare anche avanti, ma è troppo facile per i prodiani dire che il tema di cui discutere in Parlamento ora è quello delle intercettazioni perché «il caso Rovati sarebbe inesistente e chiuso con le sue dimissioni». Affermazione che fa a pugni con la logica. Perché se fosse stato un fattaccio inesistente, un omone come Angelo Rovati non avrebbe chinato docilmente il capo sulla ghigliottina e la sua collottola oggi farebbe ancora capolino dietro quella del suo migliore amico, il presidente del Consiglio.
Il caso invece è aperto e tirare fuori dall'armadio putrido della Repubblica il lenzuolo bucato del fantasma P2 per coprire la pietosa e imbarazzante storia del principale consigliere del premier che scrive («io non ero informato» racconta Prodi) un piano industriale e consiglia la nazionalizzazione della rete Telecom è operazione che può riuscire solo se l'opposizione dorme sui banchi.
Noi pensiamo che sia il caso di stare con gli occhi spalancati perché quando dalle tribune del centrosinistra si afferma che siamo di fronte a «un'emergenza che cambia la prospettiva», allora si è in presenza di un gioco di fumo e specchi in cui si bruciano intercettazioni illegali e file compromettenti (ma non sono più corpo di reato?) e per soprammercato nel rogo finiscono anche le lettere scritte su carta intestata di Palazzo Chigi per condizionare il futuro di Telecom.
Sarebbe un falò delle vanità ma senza un briciolo di verità.
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