Il presidente del Senato, Renato Schifani, è stato pesantemente insultato e contestato, ospite alla festa del Pd. Lo accusano di essere, o essere stato, mafioso. Non c'è nulla, ovviamente, se non una tesi del Fatto Quotidiano che da settimane indaga sui clienti che Schifani, avvocato di professione, ha avuto in Sicilia agli inizi degli anni Novanta.
Al di là del paradosso (un avvocato difende presunti colpevoli), e dell'inconsistenza giudiziaria della storia, la questione dimostra tre cose. La prima. Bersani e Fassino non comandano più neppure in casa loro, dove sono stati presi di sorpresa da un gruppo di provocatori mandati dal duo Di Pietro-Beppe Grillo. I vertici del partito hanno saputo farfugliare solo qualche parola di circostanza alle quali ovviamente non faranno seguire atti politici in quanto ostaggi elettorali di Di Pietro e terrorizzati dal movimentismo di Grillo. La seconda. Dopo Dell'Utri, Schifani: la nuova strategia della sinistra radicale è quella di scendere sul piano dell'aggressione fisica e di cercare lo scontro di piazza. La terza.
In effetti in questo Paese c'è un problema di carenza di democrazia e di rischio regime. Solo che cause e mandanti non vanno cercati dalle parti di palazzo Chigi.
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