Politica

Schröder risollevato dal «bagno turco»

Alberto Pasolini Zanelli

da Berlino

Per la seconda volta in tre anni le elezioni in Germania sono state decise, molto probabilmente, dai turchi. O meglio dai cittadini tedeschi di origine turca, che sono una minoranza degli immigrati, ma quelli che contano perché votano. Ce ne sono fra i 5 e i 600mila e, anche in assenza di un «ritaglio» ufficiale (la legge tedesca non consente l’esame del comportamento dei cittadini secondo le origini razziali, come è invece normale in America), è chiaro che essi hanno votato in grande maggioranza per il Partito socialdemocratico e, soprattutto, per il cancelliere Gerhard Schröder. In una situazione di virtuale pareggio fra i due maggiori partiti l’impulso dei «tedeschi col trattino» può essere stato decisivo. E non è un mistero né una sorpresa in che direzione la «piccola Anatolia» di Berlino, Stoccarda, Monaco, Amburgo, eccetera si sia incamminata. Già nel 2002 fra i due terzi e i tre quarti dei «voti turchi» erano andati alla Spd; questa volta il margine si è ulteriormente irrobustito. Si sono moltiplicati anche i motivi di questo fenomeno.
Tre anni fa l’argomento decisivo era stato quello economico: gli immigrati in genere e in particolare quelli dalla Turchia (che costituiscono la minoranza etnica più ragguardevole in Germania) mostrano preferenza per i partiti che hanno nel loro programma forme più generose di assistenza sociale e di «protezione per i più deboli». Non dovunque si tratta necessariamente dei partiti di sinistra, ma la socialdemocrazia tedesca risponde bene a questi canoni. Già nel 2002 si era aggiunto un fattore legato alla politica estera: l’opposizione di Schröder alla guerra contro l’Irak, che aveva già deciso. Gli immigrati turchi sono nella quasi totalità musulmani, anche se in genere non integralisti, e giocò allora una solidarietà religiosa-culturale. Su cui il Cancelliere ha potuto contare anche questa volta come corollario della sua strategia di puntare sulla politica estera per frenare la tendenza allo spostamento di voti in favore dei democristiani provocata dalla difficile situazione dell’economia: egli si è espresso in modo molto energico contro l’eventualità di un conflitto armato con l’Iran, altro Paese musulmano.
Una scelta che pare avere avuto minor presa di quella su cui si è ricalcata, anche perché non sono in molti a credere che un attacco militare a Teheran sia probabile e certamente non immediato. Ma Schröder questa volta aveva nella manica una carta in più, un vero e proprio asso per il «voto turco»: uno spericolato «sì» all’ammissione di Ankara nell’Ue.
Una promessa tutt’altro che popolare anche in Germania, che separa fra l’altro Berlino dal suo tradizionale partner francese e contro cui la candidata alla Cancelleria Angela Merkel si era espressa in termini molto netti. È possibile che questo contrasto abbia giovato alle forze di centrodestra nei confronti dell’elettorato in generale; ma nella minoranza turca il dibattito ha prodotto un effetto di mobilitazione, che può essere stato decisivo in alcuni collegi «marginali», soprattutto nelle città industriali, a cominciare da Berlino dove il contrasto culturale con parte degli immigrati è drammaticamente tornato alla ribalta in questi giorni con il processo a un giovane turco che ha assassinato la sorella per punirla dei suoi costumi sessuali, in obbedienza alla Sharia coranica e non alla legge tedesca.

Vista la situazione di stallo che si profila alle urne, è probabile che questa volta ancora più che nella precedente la scelta di questo elettorato sia risultata decisiva.

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