Gli «sciaguratelli» col mitra d'ordinanza

Di fronte ai dati emersi sulle Br – dalle intercettazioni agli arsenali - la sinistra radicale rifiuta di fare i conti col suo passato e con le sue parole d’ordine e agita scompostamente la coda di paglia. Paolo Cento, verde con un passato di agitatore permanente che nemmeno la nomina a sottosegretario ha redento, racconta ancora le favole oscene degli infiltrati manovrati dai servizi per mettere nei pasticci certi angelici soggetti dei «movimenti». «Pezzi di istituzioni – ha detto al Corriere – contrari ai movimenti che lavorano per creare incidenti». Già. Pietro Ingrao – cattivo interprete esemplare del «secolo breve» per essere stato littore fascista e stalinista duro e puro – è approdato tardivamente alla non violenza e questa sua disposizione irenica lo induce a una valutazione «minimalista» della formazione terroristica. «Quattro sciaguratelli»: così li definisce in un’intervista a La Repubblica. Quattro sciaguratelli, sia pure con mitra d’ordinanza: cosa vogliamo fare a questi discolacci? Bubù sulle manine?
Il manifesto non digerisce l’allarme lanciato dal responsabile del Viminale. Su Vicenza «Amato sproloquia», scrive il quotidiano comunista che in un editoriale vittimistico denuncia l’«offensiva mediatica» contro la sinistra. Amato è stato cauto e prudente, non voleva irritare gli alleati della sinistra radicale e non ha insistito sulle evidenti contiguità fra certi centri sociali e certi gruppi con i terroristi e con gli aspiranti tali. Ma non è riuscito a placare gli alleati coi nervi scoperti, perché la contiguità è sotto gli occhi di tutti, è nelle cose, nei fatti, negli slogan.
La verità è che una parte della sinistra non impara nemmeno dai suoi errori, è incapace di rinnovare il proprio armamentario ideologico e propagandistico, non riesce a liberarsi delle tentazioni rivoluzionarie che affiorano nel suo linguaggio politico.
In principio fu il Verbo e le parole restano le chiavi per la decifrazione e la progettazione del mondo. Le parole di una certa sinistra sono vecchie, gravi, violente, ambigue. C’è una continuità precisa, inequivocabile sia fra i terroristi di oggi e quelli di ieri, sia fra il comportamento (e il linguaggio) della sinistra di ieri e una parte della sinistra di oggi. Quando, negli anni Settanta, nacquero le prime Brigate rosse, la sinistra finse di non riconoscerle come carne della sua carne. Infiltrati, manovrati dai «servizi» e dalla Cia, prezzolati da Fanfani e dai fascisti: questi erano, per definizione dogmatica, i brigatisti. Eppure la sinistra aveva contribuito a generarli, dal suo grembo, grazie a una rappresentazione drammatica e deformata della realtà italiana. Erano gli anni in cui la sinistra sosteneva l’esistenza del «doppio Stato», in cui denunciava a giorni alterni l’imminenza di un «golpe». C’è da stupirsi che dei disadattati politici abbiano creduto a queste mistificazioni dietrologiche? Che abbiano ritenuto giusto imbracciare il mitra per sventare i disegni criminal-politici del Grande Vecchio? La storia si è ripetuta.
Negli ultimi anni certa sinistra ha parlato di «regime» e di libertà in pericolo, mentre un sindacato come la Cgil in un suo sito definisce «eversiva» la legge Biagi. Basta.

Abbiamo sentito un comunista dire che Berlusconi fa schifo, ma non abbiamo mai sentito un comunista - ce ne sono ancora – dire che i «terroristi gli fanno schifo». Questi insulti li riservano agli avversari politici. Ciò può spiegare perché i piccoli terroristi crescono. E cresceranno, fino a quando tutta la sinistra non avrà chiuso i conti col suo passato.

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