Lo scienziato della doppia elica che insegnò a leggere le istruzioni della vita

Contribuì a scoprire la struttura del Dna Nel 1962 vinse il Nobel per la medicina

Lo scienziato della doppia elica che insegnò a leggere le istruzioni della vita
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Ha avvolto il segreto della vita con un fil di ferro e, nel momento in cui lo ha intrecciato, ha iniziato a mettere per iscritto il nostro passato e a tessere la trama della scienza dei secoli a venire. Perché sì, nel 1953 è bastato un fil di ferro, che oggi fa anche tenerezza, se si pensa a che cosa combinano i genetisti con la Crispr, a un genio come James Watson, insieme al collega Francis Crick, per rivelare al mondo ciò che è alla base della vita, perlomeno quella che conosciamo fisicamente: la doppia elica del Dna, due filamenti che si incrociano uno sull'altro, che costituiscono la struttura dell'acido desossiribonucleico, la molecola su cui si regge tutto, biologicamente parlando. Ecco, James Watson è morto in un hospice di New York e, perdoni la battuta, possiamo davvero dire che i geni non lo abbiano tradito, poiché aveva 97 anni, trascorsi tutti all'insegna della scienza e di un certo protagonismo, nel bene e anche nel malissimo, talvolta.

Innanzitutto, James Watson era nato nel 1928 a Chicago ed era un biochimico di soli 25 anni quando si mise a lavorare con Crick, che allora non aveva nemmeno concluso il dottorato, sulla struttura e le funzioni del Dna. All'epoca non si sapeva quasi nulla: sono stati Watson e Crick a svelare come fosse fatta e come agisse la molecola che è alla base dei cromosomi e che è il tramite dell'ereditarietà genetica e, così facendo, hanno dato il via alla genetica, la scienza che poi ha dominato il resto del Novecento e il nuovo millennio. Per la loro scoperta, Watson e Crick hanno ricevuto il Premio Nobel per la Medicina nel 1962, insieme a Maurice Wilkins.

Assente, per molti anni, dalle celebrazioni e dagli elogi, è stata invece Rosalind Franklin, biochimica britannica specializzata in cristallografia, il cui lavoro fu determinante perché la prima "fotografia" della doppia elica fu scattata proprio grazie a lei. Il fatto che fosse stata ignorata dai colleghi può sembrare parte dello spirito dell'epoca, ma in realtà, con il passare degli anni, il curriculum di James Watson si riempie di allori ma anche di polemiche.

Da giovane di venticinque anni che compie una scoperta eclatante per la scienza, Watson viene osannato e diventa un mito e comincia una carriera anche accademica di assoluto rilievo. Già nel 1961, prima ancora di ricevere il Nobel, Watson viene nominato professore di Biologia molecolare all'Università di Harvard, dove resta fino al 1976. Dieci anni dopo, nel 1988, è lui a dirigere il Progetto genoma umano, il piano ambizioso e visionario per decifrare noi stessi, un obiettivo raggiunto nel 2000. Insomma non è stato solo un pioniere ma anche un protagonista del cammino da lui intrapreso: ha assistito e partecipato ai progressi più avanzati e turbolenti della genetica, come la scoperta delle mutazioni e delle malattie a esse legate, lo sviluppo di organismi geneticamente modificati, dal mais in poi, le tecniche di editing genetico come la Crispr, che suscita interrogativi e paure nei confronti dei limiti e delle possibilità di una scienza che può agire sul Dna dell'uomo, anche quando deve ancora venire al mondo... E, proprio come la scienza che ha tenuto a battesimo, una creatura splendente quanto potenzialmente mostruosa, James Watson è stato altrettanto controverso: nel 1968, nella pagine della sua autobiografia, si assunse tutto il merito della scoperta della doppia elica, mettendo completamente in ombra i colleghi con cui lavorava. Poi, nel 2007, in una intervista al Sunday Times, Watson insinuò che le persone di colore non siano intelligenti tanto quanto i bianchi e, non contento dell'enormità dell'aberrazione da lui affermata, la ribadì in interviste successive.

Fu costretto a dimettersi dal Cold Spring Harbor Laboratory, che dirigeva. La caduta personale nel razzismo ha coinciso con quella nella comunità scientifica, che lo ha in gran parte abbandonato, al punto che, in polemica, nel 2014 aveva messo all'asta la sua medaglia del Nobel, accusando i colleghi di averlo tradito ed emarginato. Il padre della genetica che usa il suo genio e il potere e i mezzi della scienza per abusare anziché aiutare il resto dell'umanità è qualcosa che lascia con l'amaro in bocca.

La speranza è che la sua parabola non sia quella del destino dell'uomo, in questo mondo che alla scienza, e alla tecnologia che di essa è figlia, guarda sempre più spesso come alla nuova divinità, ma che la metafora che ereditiamo da lui sia quella di quel ragazzo di venticinque anni che, piegando un filo di ferro, ha spalancato un mondo meraviglioso.

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