Le "scosse" di D’Alema fan tremare il Pd Estate di intrighi con l’inchiesta di Bari

Gli sviluppi dell’indagine in cui sono impigliati alcuni esponenti del partito e l’esito dei ballottaggi rimescolano le carte: tutti in attesa di assestare il colpo finale. Franceschini appeso a un filo

Le "scosse" di D’Alema fan tremare il Pd 
Estate di intrighi con l’inchiesta di Bari

Roma A cavalcare lo scandalo e inseguire i gossip e le «scosse» che potrebbero conseguirne, il Pd per il momento non ci pensa per niente. Negli ultimi giorni, infatti, il messaggio è stato: parliamo d’altro. Anche se poi, proprio sulla scia delle polemiche degli ultimi giorni, qualche «scossa», seppur piccola, la si registra dentro al Pd, dove ognuno vede a modo suo l’ipotesi che l’inchiesta di Bari porti primo o poi a nuovi scenari.
E infatti Dario Franceschini evita di evocare ragazze e festini, mentre si dice pronto a «collaborare con il governo contro la crisi, se riuscisse a mettere in campo le riforme strutturali che servono». Le ragioni della frenata sono diverse: intanto, come spiegano dal Nazareno, «stanno già facendo tutto Repubblica, Corriere della Sera e magistratura, noi ci limitiamo a stare a guardare e aspettare gli eventi». Quali possano essere, gli eventi futuri, nessuno sa anticiparlo. Ma nel principale partito di opposizione c’è l’opinione diffusa che il 25 luglio passerà senza riunioni traumatiche del Gran Consiglio. E che un’eventuale precipitazione della crisi non avverrà prima dell’autunno, all’incrocio tra la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano e la finanziaria di crisi da preparare.
E qui stanno i distinguo. In quel caso, ha assicurato il segretario, il Pd è «pronto a ogni cosa». Dunque anche ad ipotesi di «responsabilità nazionale» e di governi di emergenza. Uno scenario evocato per primo da Massimo D’Alema, ma Franceschini fa capire che, ove mai la prospettiva si concretizzasse, l’interlocutore legittimo cui rivolgersi sarebbe lui e non l’ex ministro degli Esteri. E pure Giuseppe Fioroni pare chiamare direttamente in causa il Pd quando dà per scontato che «il governo tarlato cadrà» e assicura che «a breve il laboratorio del centrosinistra sarà chiamato a confrontarsi nuovamente con il governo».
In ogni caso, il recente passato ha insegnato che - a maneggiarlo con troppa disinvoltura - un certo moralismo può diventare un boomerang, come nel caso di Franceschini e delle sue dichiarazioni, in piena campagna elettorale, sull’educazione dei figli di Berlusconi; o del putiferio suscitato dalle anticipazioni di «scosse» fatte da D’Alema. Meglio tacere, dunque. E attendere gli sviluppi dell’inchiesta pugliese, nelle cui carte - per altro - sono impigliati troppi esponenti del centrosinistra per moraleggiare granché. «Il Pd - assicura il franceschiniano Giorgio Merlo - non è e non sarà mai un partito a sfondo moralista con un profilo giustizialista».
A suggerire un basso profilo ci sono anche i ballottaggi, il cui esito avrà ripercussioni anche sulla situazione interna al Pd, sempre assai effervescente: con un buon risultato, Franceschini uscirà rafforzato nella sua determinazione di sfidare al congresso Pierluigi Bersani e chi altri si presenterà.
Ma nel Pd c’è anche chi spera in un precipitare degli eventi anche per evitare il congresso. A cominciare da D’Alema, e da Franco Marini, che sperava in un compromesso interno per tenere in sella Franceschini con D’Alema presidente del partito.

Ma anche l’area dei cosiddetti «quarantenni», che minacciano un proprio candidato segretario e corteggiano Debora Serracchiani, è in fermento contro il «vecchio» schema: Ds contro Margherita, D’Alema contro Veltroni (che sta per dare alle stampe il suo nuovo romanzo, «Noi», ma intanto è attivissimo sponsor di Franceschini, a patto che a dargli la linea sia lui). «Il dibattito interno al Pd è asfittico», dice Paola Concia. E la Serracchiani invoca: «Va superato questo eterno dualismo».

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