Sembra che sia destinato a sparire il vecchio «praticantato», cioè il periodo di prova cui ci si sottoponeva nei giornali per avere il diritto a sostenere lesame di Stato: superato il quale, si diventava professionisti. LOrdine dei giornalisti è intenzionato ad abolirlo anzi a proibirlo, facendo sì che a questo nostro mestiere si possa accedere solo attraverso scuole appositamente organizzate o autorizzate dallOrdine stesso. In più, viene richiesto un «percorso universitario», che tradotto in parole semplici credo voglia dire una laurea.
Non mi permetto di sindacare le decisioni dellOrdine. Solo di esprimere qualche rammarico, però, sulla scomparsa del «praticantato». Il quale, come sanno tutti i giornalisti, veniva di fatto preceduto da un altro periodo di prova, senza busta paga e senza garanzie: era il cosiddetto «abusivato», cioè il periodo in cui un giornale prendeva a lavorare in nero dei ragazzi. «In nero» è unespressione che può far pensare a un bieco sfruttamento, ma in realtà labusivato era un qualcosa di agognato, di sognato da tutti i ragazzi che volevano diventare giornalisti. So di dire cose sindacalmente scorrettissime, ma la verità è che il giornale che faceva lavorare in nero dei ragazzi non sfruttava nessuno; anzi, a questi ragazzi insegnava (gratis) un mestiere.
Posso capire che oggi si chieda a chi vuol fare il giornalista di essere laureato (anche se mostri sacri come Enzo Biagi laureati non lo erano), e sono contento che oggi ci siano scuole di giornalismo che fanno le veci del «praticantato» nei giornali. Ma resto perplesso di fronte allipotesi che giornalisti lo si possa diventare solo facendo una scuola. Proprio ieri un grande giornalista come Igor Man ha scritto su La Stampa un articolo intitolato «Non si diventa giornalisti alluniversità», ricordando le imprese sul campo degli inviati di guerra, ma anche la dura gavetta che si faceva da «volontario», cioè da abusivo. Ha scritto Man: «Faticare a spezzaschiena, niente corte (cioè riposi, ndr) né vacanze, ma giro negli ospedali, caccia ai disastri, cura dei fatti periferici poiché spesso nascondono fattacci (...) Se non si sta, giorno e notte, al chiodo, si finisce col diventare un (presuntuoso) impiegato della notizia, di quelli che staccano quando è ora».
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