Se gli alti Palazzi premiano le basse canzonette

Quarant’anni fa la contegnosa regina Elisabetta concesse ai Beatles l’Ordine dell’Impero britannico, onorificenza che, di là dalle benemerenze artistiche dei Fab Four, premiava il fiume di valuta pregiata che la loro musica stava calamitando nelle casse del regno. Ne scaturì uno scandalo: autorevoli personaggi, già insigniti dell’onorificenza, la restituirono all’augusto mittente, e lo stesso fece John Lennon, non perché ritenesse di non meritarla ma perché pensò che il riconoscimento fosse indegno d’un trasgressore come lui.
Erano tempi in cui gli artisti in genere - abituati fin dal medioevo a vedersi negare anche la sepoltura cristiana - e i canzonettisti in particolare venivano considerati esponenti d’una genia inferiore. Oggi questo genere di razzismo non esiste più: popstar come Elton John e Paul McCartney si fregiano del titolo di baronetti senza che neppure i conservatori più accigliati se ne adontino, Bob Dylan viene studiato nelle università americane insieme a Walt Whitman e a Rimbaud; Dalla, Battiato, Vasco Rossi sono tra i beneficiari d’una piccola inflazione di lauree honoris causa, e adesso il capo dello Stato assegna a Laura Pausini, a Zucchero e ad Eros Ramazzotti il titolo di commendatore, e ad Andrea Bocelli quello di grand’ufficiale.
Non è la prima volta che esponenti della canzone ricevono, insieme a colleghi di altro settore artistico, simili gratificazioni, ma è la prima volta che il riconoscimento presidenziale incorona esclusivamente artisti della musica pop. Perché se è vero che Bocelli, dopo essersi conquistato la fama come canzonettista, è ormai un cantante lirico a tempo pieno, gli altri tre continuano a militare sul fronte della canzone: la Pausini e Ramazzotti sul versante del «facile ascolto» e Zucchero su quello d’un soul coniugato con la tradizione mediterranea.

Tutti e quattro hanno comunque all’attivo un successo internazionale insolito per i nostri cantanti: se sia quest’ultimo, con i suoi ovvii riflessi economici, il movente del riconoscimento presidenziale, o se esso derivi esclusivamente dai meriti artistici del quartetto non è facile sapere. Ma è positivo il definitivo affossamento d’una discriminazione un po’ razzista, nei confronti d’una espressione importante della nostra cultura, qual è, o può essere, la canzone.

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