Se la fiction sui boss di Palermo pagava il pizzo alla mafia vera

La mafia è tentacolare e sfuggire al pizzo in Sicilia non è facile. Adesso si scopre che persino la fiction di Canale 5 Squadra antimafia, ambientata a Palermo, sarebbe stata costretta a offrire ai clan un’invitante mangiatoia alle spalle della quale arricchirsi e da cui attingere denaro. Proprio la serie tv che dal 2009 intrattiene il pubblico con le gesta degli uomini di legge in lotta perpetua contro le cosche palermitane.
In seguito all’operazione antimafia «Pedro» che ha portato in carcere 22 persone - mentre ad altre sei l’arresto è stato notificato in carcere - sono emersi i dettagli: la Taodue, società di produzione della fiction, guidata da Pietro Valsecchi, sarebbe finita da tempo nel mirino dei clan: sottoposta a continue richieste di denaro, doveva anche fare i conti con l’indicazione delle «ditte amiche» alle quali rivolgersi per forniture e pasti durante le riprese televisive.
A fare da trait d’union tra società e clan sarebbe stato, secondo la ricostruzione della Dda, un amico dei boss, che avrebbe agito per imporre il pizzo alla Taodue grazie alla parentela con un dipendente della società. Compare poi il nome di Marcello Testa, socio della cooperativa Europalermo, alla quale la Taodue aveva affidato la gestione di alcuni servizi e che aveva un ruolo centrale: addirittura riusciva a fare assumere come comparse parenti di affiliati al clan, come ad esempio il fratello di uno degli arrestati Giovanni Giammona. I boss, secondo gli investigatori, si occupavano anche di rifornire di piccole quantità di droga la troupe.


La società di produzione, da ieri nell’occhio del ciclone, ha dichiarato di «essere sempre stata contro tutte le mafie» e ha aggiunto che «Marcello Testa non è mai stato un dipendente della Taodue», ma solo un collaboratore.

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