Se non ora... mai! Giù le mani da Levi

Assimilare i partigiani ebrei antinazisti ai "partigiani" antiberlusconiani è strumentale e pericoloso in un momento in cui torna l’odio per Israele

Se non ora... mai! 
Giù le mani da Levi

Il libro di Primo Levi Se non ora quando? ha come protagonista una brigata di partigiani ebrei nella Russia invasa dai nazisti. Hanno preso le armi e marciano cantando un loro inno che dice: «Siamo le pecore del ghetto, Tosate per mille anni, rassegnate all’offesa. (...) Abbiamo imparato a sparare e colpiamo diritto (...) Siamo i figli di Davide e gli ostinati di Massada. Ognuno di noi porta in tasca la pietra che ha frantumato la fronte di Golia. Fratelli, via dall’Europa delle tombe...». E il ritornello recita la celebre frase del rabbino Hillel (II secolo): «Se non sono io per me, chi sarà per me? Se non così, come? E se non ora, quando?».
Oggi ci si mobilita e si scende in piazza con questa parola d’ordine. Per difendere i figli di Davide, che hanno imparato a sparare e difendersi, ma sono asserragliati in una nuova Masada circondata da decine di migliaia di missili, minacciata di distruzione da un dittatore esaltato, Israele insomma? E questo mentre l’Europa delle tombe vede la rinascita di un nuovo antisemitismo? Niente di tutto ciò, ci mancherebbe altro! Si scende in piazza per l’onore delle donne, per difendere la loro dignità. Allora, si tratterà di certo delle migliaia e migliaia di donne tenute in schiavitù, infibulate, lapidate se adultere, sgozzate se si sposano o solo s’innamorano di un «infedele», picchiate a volontà dal marito-padrone? Si scende in piazza per denunciare l’abominio di duecentomila persone che vivono in regime di poligamia nella regione parigina e chissà quante già da noi? Niente di tutto ciò. Si scende in piazza per cacciare Berlusconi...
Occorrerebbe soltanto sorridere per l’impietoso parallelismo tra i partigiani di Primo Levi e i partigiani antiberlusconiani. Sarebbe da voltarsi dall’altra parte disgustati per l’immensa ipocrisia di tacere dei veri delitti che vengono perpetrati quotidianamente sulle donne e indignarsi per dei vizi privati sbirciati dal buco della serratura. Ma è intollerabile il continuo abuso del riferimento allo sterminio degli ebrei e ai suoi simboli: dagli insegnanti che sfilano con la stella gialla contro la riforma Gelmini fino adesso al «Se non ora quando?». Trovatevi altri simboli, per cortesia, se non altro per non banalizzare la Shoah, tirandola fuori a sproposito. Fatelo almeno per motivi di opportunità: se non ora quando?
Dicono che Berlusconi abbia fatto un riferimento improprio evocando i metodi dei servizi segreti nella Germania Est. Il comunismo non esiste più - dicono - e la Stasi era agli ordini del potere, mentre oggi al potere c’è lui, Berlusconi. È indubbio. Ma, come ha notato Piero Ostellino nella manifestazione promossa da Giuliano Ferrara al Teatro del Verme di Milano, il comunismo non c’è più, ci sono i comunisti. E questo è altrettanto indubbio. Nella detta manifestazione un riferimento ricorrente è stato all’intrusione nella «vita degli altri». Non so quanti siano consapevoli del fatto che La vita degli altri è il titolo di uno splendido film che descrive l’orrore del regime poliziesco della Germania comunista, basato sullo spionaggio della «vita degli altri». Non molti credo, perché a forza di chiedere, ho constatato che pochi l’hanno visto, certamente molti di meno di coloro che hanno visto Il caimano. E parecchi, non appena vengono informati dell’argomento del film, evitano di vederlo: il solito film anticomunista... A distanza di più di trent’anni è la stessa reazione con cui fu accolto Arcipelago Gulag di Solgenitzin e il dissidente Amalrik fu definito su L’Unità un «fanatico dell’antisovietismo». Anche il film Il concerto, che pure è stato pluripremiato, è ignorato dall’intellettualità progressista. A proposito del film Il falsario, che narra una storia simile a quella del romanzo di Levi, si legge in una recensione in rete: «Non è forse ora che il cinema tedesco torni a guardare avanti liberandosi di quello che sta ormai diventando un senso di colpa che le nuove generazioni non possono addossarsi per l’eternità. È come se il mondo del cinema sentisse di non aver ancora battuto sul proprio petto un mea culpa abbastanza convincente. Ora si corre il rischio della saturazione che può ottenere un esito uguale e opposto a quello della rimozione». Preoccupazione condivisibile. Ma se la letteratura e la filmografia del nazifascismo corre il rischio di creare un senso di saturazione, non altrettanto può dirsi di quella ancor molto esile sul comunismo. Eppure anche questo poco basta a saturare gli intellettuali antropologicamente superiori!
Perciò, dalli ad abusare dei riferimenti alla Shoah, tanto l’effetto di saturazione lo pagheranno quelli della nuova Masada e facciamola finita con l’anticomunismo. Lo ha ribadito Ezio Mauro, proclamando l’inaccettabilità dell’equiparazione tra antifascismo e anticomunismo: l’anticomunismo mai. Occorrerebbe regalargli Vita e destino di Vasilij Grossman, uno dei più grandi romanzi del Novecento, (magari in cofanetto assieme a Tutto scorre). È il libro di un patriota russo che, pur schierato con il suo popolo il quale, oppresso dai nazisti ritrova nella resistenza il senso dell’unità nazionale, alla fine deve toccare con mano le ragioni profonde dell’equivalenza totale dei due regimi.
Ma invece di prendere atto della lezione di Grossman, siamo ancora là: alla neppur segreta nostalgia del comunismo e di quel modo di sentirsi l’esercito degli antropologicamente superiori la cui missione storica era la liberazione definitiva dell’umanità. Quando si parla oggi dell’azionismo e del suo moralismo giacobino come cifra delle manifestazioni attuali, bisognerebbe ricordare che siamo di fronte al riproporsi di una relazione storica che sta in piedi da due secoli. C’è un rapporto preciso che unisce Rousseau e Robespierre da un lato, e Marx dall’altro. È un rapporto fatto di netto dissenso ma anche di un terreno comune, che è rappresentato dall’idea più nefasta della modernità, fonte primaria dei drammi che hanno distrutto l’Europa: la pretesa di ricostruire il mondo dalle radici, l’idea di raddrizzare il legno storto dell’uomo, l’idea della palingenesi globale che si è manifestata come palingenesi etica, come palingenesi sociale, oppure etnica e razziale.
Il comunismo italiano è stato molto polemico nei confronti dell’azionismo, rivolgendogli le stesse accuse un tempo rivolte al giacobinismo: una visione elitaria, aristocratica, minoritaria e poco attenta alla necessaria centralità della tematica del sociale. Poi, man mano che l’ideale della rivoluzione socialista e del rovesciamento del capitalismo, anche nelle versioni edulcorate della «terza via», è sprofondato, per il crollo dei suoi sistemi di riferimento, è rimasto in piedi solo il riferimento alla palingenesi etica. Ne è una testimonianza evidente la formula della «politica dell’austerità» lanciata da Enrico Berlinguer nel periodo del declino, il cui carattere di triste moralismo dovrebbe mettere in guardia chi improvvidamente oggi la rivaluta.

Oggi l’unica risorsa rimasta è rivestirsi dei panni sbrindellati del giacobinismo azionista. Ognuno è libero di gestire il proprio vuoto di ideali come meglio crede, anche prendendo a simbolo la ghigliottina di Robespierre, ma almeno lasciate in pace il Se non ora quando?.

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