UN SECOLO DI ERRORI SULLA RESISTENZA

UN SECOLO DI ERRORI SULLA RESISTENZA

Anche oggi, su queste pagine, leggerete una puntata delle storie del dopo-25 aprile raccontate dalla nostra Maria Vittoria Cascino, con la dolcezza e la capacità di cummuoversi e commuovere che hanno le donne. E anche oggi, come sempre, siamo qui a raccontarvi lo spirito con cui è nata la nostra inchiesta: nessun revanscismo, nessuna scelta politica, nessun tentativo di riscrivere la storia da cima a fondo. Ma solo la volontà di rendere l’onore e la memoria a tanti innocenti trucidati in nome di valori traditi in quello stesso istante dagli stessi che li affermavano. Fa male alla Resistenza, a quella vera, nascondere o giustificare le proprie degenerazioni. Fa male ai partigiani, a quelli veri, trasformarsi in partigiani della negazione della verità.
In questi giorni, poi - complice il bel libro di Bruno Vespa Vincitori e vinti - Le stagioni dell’odio dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi - il dibattito su quello che vi stiamo raccontando è uscito di prepotenza dalle pagine di cultura e di storia per entrare in quelle di politica o di cronaca. La rottura fra Massimo D’Alema e Piero Fassino su piazzale Loreto, con conseguente dibattito politico e inevitabile intervento di Armando Cossutta, è la testimonianza di ferite ancora aperte a sinistra.
L’apertura di un’inchiesta da parte del procuratore militare di Padova Sergio Dini sull’esecuzione sommaria di centinaia di militari della Repubblica Sociale Italiana da parte di partigiani comunisti subito dopo la Liberazione, è un altro segno. E alla procura militare della Spezia sono stati inviati altri fascicoli relativi anche a stragi avvenute in provincia di Genova e nel Savonese, come potete leggere nell’articolo qui a fianco. Denunce e fascicoli che non devono aprire nuove ferite e nuovo odio, ma solo ridare l’onore e il ricordo a chi, spesso, in nome della nuova Italia non ha avuto diritto neanche a questo.
In questo quadro, stupisce che Il Secolo XIX non trovi di meglio che stroncare l’ultimo libro di Giampaolo Pansa Sconosciuto 1945, dedicato alle lettere dei parenti dei vinti offesi e dimenticati. Stupisce, in particolare, perchè da quando lo dirige Lanfranco Vaccari Il Secolo è un giornale spesso discusso e discutibile, con cui a volte è facile non trovarsi d’accordo, con cui a volte abbiamo anche polemizzato pubblicamente. Ma mai unidirezionale o usato come una clava politica sempre nella stessa direzione. E di questo va dato atto proprio a Vaccari, uomo libero che merita tanto di cappello.
Eppure, la recensione del libro di Pansa pubblicata addirittura in apertura delle pagine di cultura e spettacoli e firmata da Antonio Gibelli, sembra uscita da un’altra Repubblica storica e storiografica. Il giornalista, per sostenere le sue tesi, mette di mezzo addirittura questioni metodologiche, peraltro dimenticando tutto quanto ci hanno insegnato gli storiografi francesi, le Annales, Marc Bloch, Lucien Febvre, Fernand Braudel e - su un altro versante della ricerca - Jacques Le Goff: «Quella di Pansa non è storia, ma memoria: quindi materiale per la storia».
Il resto, viene di conseguenza. Per Il Secolo e il suo recensore «il grande merito della Resistenza italiana è aver trasformato un Paese così lacerato, così umiliato, così carico di odio, in un Paese civile, capace di imparare l’esercizio della democrazia e di affezionarvisi, dopo il degrado a cui il fascismo l’aveva condotto. Ed è insensato, colpevole, mettere in liquidazione questo patrimonio comune, come molti cercano di fare. Tra i quali non c’è Pansa, ma certo molti dei suoi lodatori, smaniosi di sentirsi dire che il male non stava tutto dalla stessa parte, anzi. E di dirlo e di ripeterlo a loro volta, in ogni occasione, in modo che si perdano e si offuschino nell’indistinto le radici di una scelta rispetto alla quale, per fortuna nostra e loro, non si può più tornare indietro».
Anche noi pensiamo che la scelta della democrazia sia una fortuna e che sia una fortuna la sua irreversibilità. Ma crediamo che dire che il male non stava tutto da una parte, sia proprio uno dei valori alle radici di quella scelta. Che la democrazia si nutra di verità e non di verità nascoste o di dogmi di fede. E che della verità non si debba mai aver paura, a meno che si abbia qualcosa da nascondere.


Noi vogliamo raccontare umanità, non fare politica. L’articolo del Secolo, purtroppo, è solo politica. Di quella che merita il cestino. Parla, in qualche modo, di passato e di odio. A noi piace parlare di futuro e, soprattutto, d’amore.

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