Il «Secolo» riscrive il G8: per accusare la polizia ora processa Gianfranco

RomaÈ un revisionismo pericoloso. Legittimo, certamente, ma piuttosto intrepido. Bisogna riscrivere la storia sul G8 di Genova, propone il foglio di Futuro e libertà, il Secolo d’Italia. Anzi, non riscrivere ma «ripensare», verbo in bilico tra passato e presente, più prudente che coraggioso. A questo argomento Filippo Rossi, l’ideologo di punta del partito di Fini, dedicherà oggi un dibattito a Viterbo dal titolo, appunto, «Ripensare il G8». Tra i relatori Carlo Bonini di Repubblica e Peter Gomez del Fatto quotidiano.
Ma parleranno, i relatori, del presidente della Camera? Ripensare il G8 non può prescindere infatti dal ripensare Fini stesso. Non solo perché all’epoca dei fatti, nel luglio del 2001, era vicepresidente del consiglio, ma perché su questo argomento l’ex leader di An ha avuto sempre un ruolo molto attivo. Nel difendere la polizia e condannare i manifestanti.
In un’inchiesta su Genova del luglio del 2008, il quotidiano britannico The Guardian scrisse: «Gianfranco Fini, ex segretario nazionale del partito neo-fascista Msi, e allora vice primo ministro­secondo i resoconti dei media di allora­era nel quartier generale della polizia. Non gli è mai stato chiesto di spiegare che ordini abbia dato». Il giornale d’Oltremanica lamentava insomma il fatto che l’attuale presidente della Camera non avesse mai risposto di quella presenza nei momenti cruciali del G8 genovese.
Al Fatto quotidiano lo sanno bene, perché recentemente il giornale di Padellaro ha intervistato Beppe Grillo e anche lui ha ricordato: «Fini era nella cabina di regia del G8 di Genova», ossia nella sala operativa della questura più accusata d’Italia nell’estate del 2001.
Al di là della presenza sul campo nei giorni fatidici di nove anni fa, Fini in parlamento ha sempre difeso la polizia con vigore. Quando il Senato fu chiamato a votare una mozione di sfiducia nei confronti dell’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola, Fini intervenne dicendo che la «violenza» vista a Genova potesse avere «collusioni e complicità» all’interno dello stesso parlamento.
Filippo Rossi scrive ora sul Secolo che «serve riscoprire il gusto della verità. Come nel caso del G8 e dei fatti della Diaz appunto». La verità di Fini nel 2001 era questa: «La linea di fermezza nei confronti dei violenti era l’unica linea che un governo serio poteva assumere nel momento in cui doveva ospitare i Grandi della terra».
Quando, nel novembre del 2007, il Parlamento bocciò l’istituzione di una commissione d'inchiesta sul G8 (una delle più grandi sconfitte morali della maggioranza di Prodi), l’ex numero di An commentò così: «Al G8 di Genova tutto il mondo ha visto chi erano gli aggrediti, la polizia, e gli aggressori, i manifestanti con amici in parlamento». E ancora più duramente aggiunse: la commissione «era unicamente una cambiale che si pagava agli amici dei black bloc: alla sinistra più radicale». Tre anni fa appena. Tra i deputati che votarono «no» ci fu anche Italo Bocchino, attuale capogruppo alla Camera di Futuro e libertà.
Ogni tanto da sinistra si ricorda con onestà quelle vicende.

L’estate scorsa, a Genova, il professor Ignazio Marino, senatore del Pd, commentando la svolta finiana, disse che per lui Fini rimane però «quello di Genova», quando era «vicepresidente del Consiglio» e soprattutto «responsabile della sicurezza».
Per questo il revisionismo «di destra» sul G8 deve forzatamente «rivedere» o «ripensare» anche Fini e Bocchino.

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