di Beppe Di Corrado
Cassano ha sempre avuto un paio di calzettoni nerazzurri. Se li è tenuti dal provino fatto nel 1993 con Giampiero Marini. Interista allora, interista adesso, «interista da sempre». Come da ragazzini: squadra? «Inter». Non sappiamo perché: se per la maglia, per qualche giocatore, per uno zio, per un amico. «Sono interista da quando sono nato». Quindi? Quindi boh. Non importa più: Cassano può arrivare a casa sua, dove ha sempre desiderato entrare. Quante volte ha voluto che ci fosse la possibilità? Da bambino, da ragazzino, da adolescente, da uomo. L’ultima neanche troppi mesi fa, prima di andare a Genova: quando il Real doveva e voleva cederlo in Italia lui aveva sperato di finire proprio a Milano. Mancini ci stava anche. Ora lo vuole ancora, forse di più. Qualcuno ha le chiavi e lui ha già fatto le sue copie. Ci pensa da una vita. Nel 2001, quando gli stava cambiando la vita, con la Roma che lo corteggiava e la Juventus che faceva altrettanto, con il Manchester che l’aveva fatto seguire, Antonio sottovoce disse una frase: «La verità? Sono un po’ deluso che tutti mi cercano, tranne l’Inter». La presero tutti per una battuta: non era l’Inter vincente di oggi, era la ruota di scorta di tutte le altre che avevano chiesto Cassano al Bari. Antonio se ne uscì con un sorriso e finì lì. Fu Roma, poi tutto il resto.
Adesso si dice il destino, certo. Nella vita di Antonio torna sempre. Ha cominciato a dirlo anche lui, da qualche tempo: per la data di nascita, per gli infortuni degli altri che l’hanno fatto esordire adolescente, per i sogni. Questo qui di Milano e dell’Inter è uno: Cassano s’è incrociato con se stesso tifoso troppe volte. No, il 19 dicembre 1999 non è stata neanche la prima. La prima fu nei Pulcini, a essere precisi. Perché Antonio aveva deciso di non entrare nelle giovanili del Bari. L’ha detto un mucchio di volte: «Lì non volevo andare perché ero convinto che giocassero soltanto i raccomandati». Finì alla Pro Inter, una piccola società dilettantistica che però aveva quel nome: I-n-t-e-r. Giocava con una maglia bianca con risvolti nerazzurri. Coincidenze, certo. La vita è tutta una coincidenza. Tonino Rana era il presidente di quella squadra. Lo è ancora ed è il custode dell’infanzia di Cassano al quale si bussa ogni volta che si cerca il piccolo Cassano: «Già allora con la palla faceva i cacchi suoi. La gente mi veniva a chiedere: “Quando gioca il ragazzino?”, e io dicevo: “Mo’ , e che è qua? Il circo equestre?”. Il segreto di Antonio è il palleggio. Si metteva nell’angolo e ne faceva sei, settecento alla volta. Lui è un talento naturale, le cose non le pensa, le fa. Nel pallone c’è aria, non materia grigia, palleggiare è prendere confidenza con la palla, capirla: l’effetto, il rimbalzo, il tocco...».
Il tocco, appunto. Che ricorda quella strana dinamica: tacco-testa-finta-gol di Bari-Inter 2-1. Eccolo il 19 dicembre 1999. Coincidenza anche questa: a 17 anni fai un gol che toglie il fiato a te e al calcio, devi farlo per forza alla squadra per cui hai sempre tifato. Antonio arrivò negli spogliatoi e alla fine di un diluvio di risposte sillabate si lasciò scappare l’unico rammarico: «Qualuno dell’Inter non s’è comportato bene con me: m’ha insultato. Sono deluso perché ho sempre tifato Inter e loro sono stati i miei idoli».
È finito quel tempo e poi ne sono finiti tanti altri. Non le coincidenze: un gol contro l’Inter con la maglia della Roma, un altro con la maglia della Sampdoria. In ogni squadra italiana nella quale ha giocato ha trovato il modo di segnare alla sua. Uno sfizio, perché adesso così si chiamano le cassanate riviste e corrette, perché quelle vere sono un’altra cosa e fanno dubitare di lui ogni volta che ha la luna storta. Sono quelle che arrivano anche quando ha promesso di farla finita. Sono quelle che a Milano sono la grande preoccupazione dei suoi critici. Uno sfizio, allora. Tipo il gusto che ha preso nel raccontare se stesso da qualche tempo, con le uscite televisive, con l’autobiografia. Ce ne sono altri di sfizi. Non vizi, sfizi. I vizi non fanno parte di Cassano, dice lui. Uno solo fa eccezione e anche questo l’ha detto Tonino usando il megafono del libro: la storia delle 600-700 donne. È servita a vendere e a far sorridere, a renderlo simpatico a quelli a cui stava già simpatico e insopportabile a quelli a cui era insopportabile. Non c’entra con l’Inter e con Milano. Questo sì, invece: «Mourinho? Nei prossimi tre-quattro anni farà vincere tutto. Ha due coglioni come una casa, se dice che vincerà dovete credergli».
Beppe Di Corrado
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