Seimila agenti per Bush ma Trastevere è off limits

Intanto cinque parlamentari chiedono a Prodi di fare la voce grossa sull’ampliamento della base Usa a Vicenza. E D’Alema: «Surreale»

da Roma

Seimila tra poliziotti e carabinieri, elicotteri, jet, auto blindate. Ma Giuliano Amato pare inquieto sul blitz che George Bush assieme alla moglie vorrebbe effettuare sabato pomeriggio a Trastevere, visitando S. Maria e poi fermandosi alla comunità di Sant’Egidio. Per tutta la giornata di ieri si sono incrociate telefonate tra il ministero degli Interni, Washington e Praga - dove era il presidente Usa - per cercare di annullare l’appuntamento. «Troppi rischi» dicono gli uomini della sicurezza italiana, ben consci che le viuzze di Trastevere possono trasformarsi in un pericoloso budello per il corteo d’auto previsto per gli inquilini della casa Bianca.
Ma non tutti nel governo di centro-sinistra concordano con la linea della cancellazione pura e semplice dell’appuntamento. «Non credo che l’Italia sia un paese a sovranità limitata e quindi non in grado di consentire a Bush di andare in visita alla comunità di Sant’Egidio - ha fatto sapere ieri il ministro della Giustizia Mastella -. Ci sono andati in passato tanti presidenti, c’è andato per due volte Giovanni Paolo II; non vedo perché non possa andarci il presidente degli Stati Uniti d’America. Sono certo che il nostro governo saprà garantire all’illustre ospite una adeguata sicurezza. Si tratta di tenere sotto controllo un’area limitata. In democrazia il dissenso è sempre legittimo, ma c’è un limite da non superare: quello di impedire ad altri libere scelte!».
Al Viminale e in prefettura pare però dominare la scena la preoccupazione, figlia anche delle prese di posizione del comitato «9 giugno» che ha organizzato per sabato marce di protesta anti-Bush e che ieri ha ripetuto con asprezza come «non sarà accettato alcun divieto». Con un corteo a pochi passi da Trastevere e una adunanza a piazza Navona, anch’essa non lontana dal quartiere dove vivono 100mila persone tra vicoli e stradine strette, non si è tranquilli della possibilità di «bonificare» la zona e tenerla comunque sotto stretto controllo. Per quest’oggi sono comunque convocati il comitato per la sicurezza che dovrà fare il punto col prefetto Serra. Che poi si vedrà con Amato per la decisione finale.
Mentre Amato si preoccupa di garantire la sicurezza il suo collega, Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, plaude all’iniziativa protestataria contro Bush ribadendo che manifestare «è legittimo» e che il presidente Usa è rimasto ai tempi «della guerra fredda». Atteggiamenti da parte del governo italiano che avrebbero irritato Bush. Almeno secondo il Tg5 che ieri in un servizio ha ventilato l’ipotesi che Bush infastidito accorci i tempi della visita. Ma fonti diplomatiche americane interpellate dal Giornale hanno smentito.
Intanto, nel già voluminoso carnet di discussione italoamericano s’infila un’ennesima spina. Cinque parlamentari dell’Ulivo - Lalla Trupia della Sinistra democratica, Elettra Deiana e Tiziana Valpiana di Rifondazione, Luana Zanella dei verdi e Laura Fincato della Margherita - hanno scritto a Romano Prodi invitando a mettere sul piatto del faccia a faccia con Bush il tema dell’ampliamento della base americana a Vicenza. «La disaffezione alla politica e al tuo governo si chiama anche Dal Molin» dicono le 5 esponenti del centrosinistra, reclamando una riapertura del discorso sulla base Usa in quel di Vicenza.
Ipotesi quest’ultima che pare non trovare d’accordo Massimo D’Alema. Che ieri, ha definito «surreale» il prendersela con Prodi - come è avvenuto domenica a Trento - per la decisione d’allargare la base militare statunitense. «Il progetto presentato dagli americani - ha notato il ministro degli Esteri - è stato approvato dall’amministrazione comunale di centrodestra. I cittadini di Vicenza contrari alla base hanno detto che il consiglio comunale non li rappresentava. Ma alle provinciali i cittadini di Vicenza hanno espresso nuovamente fiducia al centrodestra, che continua a governare anche il Comune. Poi contestano Prodi e gli dicono che non è democratico e chiedono un referendum cittadino che il governo non può dare perché non c’è legge che lo consenta... Surreale prendersela con Prodi» chiude il titolare della Farnesina.

Che però evita di far cenno al fatto che il «sì» finale al progetto americano, dopo l’impegno assunto da Berlusconi venne proprio da palazzo Chigi. Dove già sedevano lui, il professore, Parisi e tanti altri esponenti del centrosinistra.

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