Senza Eschilo non esisterebbe Seneca

Che cosa sarebbe il mondo senza le follie di Achille e le astuzie di Ulisse?

Il derby tra Atene e Roma si gioca da sempre. Nelle scuole di retorica dell’antichità agli studenti toccava fatalmente il compitino su quale dei due popoli fosse il migliore. Gli storici si chiedevano: e se Alessandro Magno avesse incontrato Giulio Cesare, chi avrebbe vinto? Un grande scrittore come Plutarco ha costruito su questo derby la sua opera più celebre, le Vite parallele: un greco contro un romano, messi a confronto in 23 sfide a eliminazione diretta.
Ancora oggi ciascuno può scegliere da che parte stare secondo il suo capriccio, ed è certo meglio il capriccio di tanta retorica classicistica tuttora corrente. Vi diranno, per esempio, che i greci sono i migliori perché hanno inventato tutto quello di cui noi ancora ci serviamo: la democrazia, il teatro, la filosofia. Ma non è vero: tra una tragedia greca e qualsiasi dramma moderno c’è di mezzo un abisso, e la democrazia ateniese c’entrava assai poco con la nostra. Che noi occidentali si sia costruiti a somiglianza dei greci è in larga parte un mito moderno. Ma in verità i greci non sono affascinanti perché ci assomigliano. Al contrario: sono affascinanti perché sono diversi. I romani sono il nostro specchio. Uno legge il Satyricon di Petronio, le Satire di Giovenale, le Epistole di Seneca e potrebbe pensare che si stia parlando delle feste del Billionaire o delle imprese dei furbetti del quartierino. Si guarda Trimalcione, e si vedono in controluce i Briatore o i Corona. Se invece si prende in mano l’Iliade di Omero o il Simposio di Platone ci si schiude un mondo esotico.
I romani siamo noi: Seneca è più vicino a Shakespeare o a Racine che a Eschilo. I greci invece sono altro da noi. Entrare nella complessa mentalità di un greco arcaico, decifrare il mondo di poeti lirici come Archiloco, per esempio, è un esercizio che porta lontano, in una diversa dimensione antropologica.
Certo, anche il luogo comune che fa della grecità il paradigma dell’Occidente ha, come ogni luogo comune, il suo fondamento. I greci hanno trovato le parole e le immagini per dire le cose. Non possiamo pensare il mondo senza il mito greco, senza Edipo, Antigone, Prometeo. La letteratura romana è mirabile e deliziosa. Ma, di fatto, è solo una provincia di quella greca, un episodio dell’ellenismo. Catullo senza Saffo, Virgilio senza Omero, Seneca senza Eschilo non potrebbero esistere. Petronio e Apuleio hanno scritto i più bei romanzi del mondo: ma anche il romanzo è un’invenzione dei greci.
Naturalmente, ci si potrebbe anche chiedere di quali greci stiamo parlando. Perché i derby sono stati giocati anche all’interno della Grecia stessa. Atene contro Sparta, per esempio. Se Robespierre celebrava Sparta, gli antigiacobini la detestavano. Viceversa, l’impero britannico amava pensarsi come un gemello dell’antica Atene: una potenza democratica, marinara, dinamica e intraprendente.
Ad ogni modo, presi tutti insieme, siano creature letterarie o uomini in carne e ossa, i greci emanano uno strano fascino. Le follie di un Achille o di un Alessandro Magno, sul crinale di una gloria posta a mezza strada tra il mondo degli uomini e quello degli dei; le astuzie di un Ulisse o di un Temistocle, alle prese con avversari tanto più forti di loro, Ciclopi o Persiani che fossero. C’è qualcosa nei greci che non si trova altrove. Uno sguardo sull’esistenza senza infingimenti e senza ipocrisie.

Un senso della vita come gioco grande e pericoloso, in cui l’uomo è un acrobata in bilico sull’abisso, in un equilibrio sempre precario tra la fortuna e il volere degli dei, tra la tirannia delle passioni e gli sforzi della volontà. Ma forse anche questo è un mito che i greci stessi si sono divertiti a raccontarci.

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