
Al liceo classico Parini se non ci fosse stata la circolare ministeriale, il divieto per l'utilizzo dei cellulari a scuola sarebbe arrivato lo stesso. Un anno fa avevano iniziato a parlarne in Consiglio di istituto ed era già pronto una bozza di regolamento. Ora, approvato il 3 luglio scorso, è pronto ad accogliere i ragazzi al primo giorno di scuola. Con una motivazione su tutte, secondo il preside Massimo Nunzio Barrella: "La mia non è una visione autoritaria. Anzi, vietare lo smartphone in classe significa far ritrovare agli studenti uno spazio di libertà".
Non sarà facile convincerli.
"Ma è la nostra sfida culturale. Avevo notato che troppi ragazzi passavano anche l'intervallo con lo smartphone in mano, isolati, senza dialogare tra loro. Questo mi ha fatto riflettere, insieme ad alcuni episodi spiacevoli: telefoni usati durante le lezioni, copiature durante le verifiche, distrazioni. Così ho portato la questione in consiglio d'istituto, poi è arrivata la nota del ministero ".
Al parini sarà un divieto assoluto?
"No, non vogliamo demonizzare lo smartphone. Non è proibito portarlo a scuola, ma ne incoraggiamo la consegna all'inizio delle lezioni: in ogni aula ci sono sacche porta-cellulari numerate. Durante la mattina il docente può sempre decidere di far usare il telefono per attività didattiche. Paradossalmente, potrebbe essere usato di più, ma in modo intelligente. Quello che vogliamo evitare è l'uso distratto, durante le spiegazioni ma anche durante gli intervalli".
E se uno studente non consegna il cellulare?
"L'importante è che sia spento o silenziato. I docenti non sono e non devono diventare poliziotti. Se però il telefono squilla o viene usato in modo improprio, scatta la nota disciplinare e, a seguire, il colloquio con i genitori e un abbassamento del voto di condotta. Quest'anno, inoltre, il comportamento inciderà direttamente anche sui crediti per la maturità".
Si aspetta resistenza da parte degli studenti?
"Sì, è naturale. È come quando si chiede a chi ha una dipendenza di rinunciare allo strumento che lo rassicura. All'inizio può sembrare una privazione, ma io sono convinto che i ragazzi ne ricaveranno un beneficio. Li incontrerò personalmente per spiegare il senso della scelta: non è una misura punitiva, ma un tentativo di restituire loro spazi di libertà e relazioni vere".
Libertà in che senso?
"Molti studi ormai dimostrano che è un oggetto disturbante anche se resta chiuso e spento in cartella. E sappiamo che gli algoritmi dei social creano dinamiche di dipendenza. Rinunciare al cellulare per qualche ora significa non cadere prigionieri di questi meccanismi. A scuola i ragazzi devono poter coltivare dialogo, confronto, relazioni dirette: solo così la comunità scolastica cresce. Lo smartphone resta uno strumento utile, ma deve rimanere al servizio dell'uomo, non viceversa. Il progresso non un qualcosa di fatale, per cui dobbiamo rassegnarci a lasciare i giovani in balìa di questi poteri La scuola è chiamata ad aiutare le famiglie, ad educare".
Anche i docenti saranno coinvolti?
"Assolutamente sì. Ho chiarito che non è accettabile che un professore passi l'ora a scorrere il cellulare mentre i ragazzi fanno una verifica. Siamo adulti, siamo testimoni: il nostro esempio è decisivo. Senza coerenza da parte dei docenti, qualsiasi regolamento perde credibilità".
Quali sono le sanzioni previste?
"All'inizio una nota disciplinare, poi il colloquio con i genitori e, se la recidiva continua, conseguenze sul voto di condotta. Nei casi più gravi ad esempio l'uso di un doppio cellulare durante le verifiche il richiamo è immediato con coinvolgimento delle famiglie.
Non è un sistema repressivo, ma educativo: le regole sono come argini, servono a proteggere chi altrimenti sarebbe penalizzato da comportamenti scorretti. Copiare durate le verifiche istituisce un'ingiustizia. Chi non è scaltro, cosa fa? Soccombe e senza vedere che gli adulti prendano misure per arginarle".