Settant’anni fa i decreti sulla razza

Con leggi razziali si indicano quell’insieme di provvedimenti che vennero varati in Italia verso la fine degli anni Trenta durante il regime fascista, rivolti prevalentemente alle persone di religione ebraica. Un documento fondamentale, che ebbe un ruolo non indifferente nella promulgazione delle cosiddette leggi razziali è il Manifesto della Razza pubblicato una prima volta in forma anonima sul Giornale d'Italia il 15 luglio 1938 con il titolo Il Fascismo e i problemi della razza, e poi ripubblicato sul numero uno della rivista La difesa della razza il 5 agosto 1938. Il 25 luglio 1938 viene comunicato il testo completo del lavoro, corredato dall'elenco dei firmatari e degli aderenti. Al Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938 - che fissava «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista» - e a quello del 7 settembre - che fissava «Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri» - fa seguito (6 ottobre) una «dichiarazione sulla razza» emessa dal Gran Consiglio del Fascismo. Tale dichiarazione viene successivamente adottata dallo Stato sempre con un regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello stesso anno. Sono dunque molti i decreti che, tra l'estate e l'autunno del 1938, sono firmati da Benito Mussolini in qualità di capo del Governo e poi promulgati da Vittorio Emanuele III. Tutti tendenti a legittimare una visione razzista della così detta questione ebraica.

L'insieme dei questi decreti e dei documenti sopra citati costituisce appunto l'intero corpus delle leggi razziali. Alcuni degli scienziati ed intellettuali ebrei colpiti dal provvedimento del 5 settembre emigrano negli Stati Uniti. Tra loro Emilio Segrè, Achille Viterbi, Enrico Fermi, Bruno Pontecorvo, Bruno Rossi.

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