Luciano Gulli
nostro inviato a Gerusalemme
Dunque oggi sapremo. Cioè conosceremo i dettagli, le percentuali di facoltà cognitive rimaste e quanta parte del cervello di Ariel Sharon è andata definitivamente in malora. Ma questo è ormai un aspetto che interessa il paziente, i suoi familiari, la cerchia ristretta (molto ristretta) di chi voleva bene alluomo Sharon e gli specialisti che lo hanno in cura, perché possano aggiornare la loro casistica. Ma sul fatto che Sharon abbia chiuso con la vita pubblica, questo lo sapevamo già da giorni. E gli israeliani cominciano a farsene una ragione, nonostante lottimismo, doveroso, diffuso dal direttore dellospedale e dai medici che ieri mattina hanno sottoposto il vecchio leone a una nuova Tac.
Alla fine di un lungo consulto al capezzale del grande malato, gli specialisti che ne sorvegliano le funzioni vitali hanno deciso di cominciare stamani la «fase di rientro» dal coma farmacologico in cui Ariel Sharon era stato proiettato dopo lultima operazione al cervello. Il professor Shlomo Mor-Yosef ha precisato che le condizioni del premier israeliano restano «gravi ma stabili», e che durante la notte fra sabato e domenica non sono intervenuti fatti nuovi ad alterare il quadro clinico. Una smentita indiretta, si direbbe, alle voci che si erano diffuse laltra sera. Voci secondo le quali Sharon avrebbe sofferto di «complicazioni polmonari», il che accade sovente in malati anziani nel decorso postoperatorio.
La Tac eseguita in mattinata allospedale Hadassah ha mostrato un miglioramento «per quanto concerne limmagine del cervello», anche se la parte destra della massa cerebrale continua ad apparire più compromessa rispetta a quella di sinistra. Buoni sono altri parametri, come la pressione intracranica e il polso. «Ma soprattutto non cè febbre», ha sottolineato compiaciuto Mor-Yosef. Un quadro dunque complessivamente soddisfacente perché si possa procedere al progressivo risveglio dal coma artificiale.
Chi non ha perso le speranze di strappare alla morte il vecchio premier, che va per i 78 anni, è il chirurgo di Sharon, Jose Cohen. Le possibilità di sopravvivenza del suo amico Arik, ha detto Cohen, sono «molto alte». Ha aggiunto che luomo è «molto forte», e su questo nessuno aveva dubbi, e che insomma, con laiuto di Dio, potrebbe farcela. «Ho visto un sacco di casi simili al suo - ha spiegato il medico intervistato dal secondo canale della televisione -. Ci sono pazienti che non sopravvivono e cè gente che torna perfino a lavorare. Il ventaglio delle possibilità, di fronte a malati con questa patologia è molto ampia, e fare previsioni prima che il soggetto riemerga dal coma farmacologico è impossibile». Cohen però si dice ottimista. «Se non insorgeranno complicazioni, come uninfezione, il che è sempre possibile, io dico che ce la farà».
Ma sul fatto che gli strascichi dellictus saranno fortemente invalidanti, anche il dottor Cohen è daccordo. «Non continuerà a essere il primo ministro, questo è certo, ma forse sarà in grado di capire e di parlare».
Nella sua edizione odierna, il quotidiano Haaretz riferisce che nel maggio scorso, aderendo a una forte campagna promossa dallassociazione israeliana per la donazione degli organi, Sharon aveva accettato di vedere il suo nome fra gli iscritti. Ma è altamente improbabile, nel caso di un suo decesso, che la volontà del premier possa essere rispettata. Potrebbero opporsi i suoi due figli, Omri e Ghilad. Ma forse non ce ne sarebbe neppure bisogno, visto che la legge israeliana prevede che non si possano avere più di 75 anni per donare gli organi. E Sharon, come abbiamo detto qui sopra, va per i 78.
Lentamente, con la stessa lentezza con cui Sharon verrà riportato allo stato cosciente, gli israeliani cominciano a misurarsi con la realtà. E come in una grande seduta di ipnosi collettiva si dicono (lo dicono per strada, sui giornali, nei dibattiti televisivi, rincuorandosi lun laltro) che il Paese è forte e saprà riprendersi anche da questa batosta.
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