da Bagdad
Ricomparso alla sbarra, Saddam Hussein ha trasformato ieri la diciassettesima udienza del processo per la strage di Dujail - dove nel luglio 1982, all'indomani di un fallito attentato contro il dittatore, 148 sciiti furono passati per le armi - in un comizio per denunciare l'«occupazione americana», ma è stato zittito dal presidente della corte, il curdo Rashid Abdul Rahman, che ha prima ordinato di rimuovere tutti i microfoni e fatto allontanare i giornalisti dall'aula e ha poi rinviato il dibattimento al 5 aprile.
«Questo processo è una farsa. Se non fosse stato per gli americani, né tu né tuo padre sareste stati capaci di portarmi qui», ha tuonato Saddam, prima che il giudice interrompesse nel pomeriggio la requisitoria che l'ex rais ha pronunciato in aula, dove per quasi un'ora ha denunciato l'«occupazione americana» e ribadito di essere il legittimo presidente iracheno. «Sono orgoglioso di sapere che lo scontro è tra me e gli americani, anche se quello vero è tra il popolo iracheno e gli americani», ha detto Saddam.
Prima che Rahman ordinasse il proseguimento dell'udienza senza giornalisti né pubblico, il deposto dittatore aveva avuto il tempo di affermare che gli autori dell'attentato del 22 febbraio al mausoleo sciita di Samarra «sono dei criminali» e d'invitare gli iracheni a «resistere agli invasori invece di uccidersi tra di loro, poiché una guerra civile - aveva ammonito - li farebbe precipitare «nel buio e tra fiumi di sangue».
Di tutt'altro tono era stata in mattinata la deposizione di Barzan Al-Tikriti, fratellastro di Saddam Hussein ed ex capo dei servizi segreti all'epoca della strage di Dujail. «Le accuse contro di me sono di evidente natura politica», aveva affermato Barzan, sostenendo che le prove a suo carico sarebbero state falsificate.
Nel Paese continua a scorrere il sangue. Ieri, come ha riferito la polizia irachena, gli americani hanno bombardato una casa uccidendo 11 componenti della stessa famiglia.
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