
Ceraulo? «Un duro. Un freddo, di poche parole. Un criminale vero, una spanna sopra a tutta la banda di scappati di casa che organizzò il delitto Gucci».
In queste ore in cui Benedetto Ceraulo, l'uomo che il 27 marzo 1995 sparò alla schiena a Maurizio Gucci, è sospeso tra la vita e la morte nell'ospedale di Pisa dopo essersi tirato un colpo di pistola in testa, fa un certo effetto andare a parlare con uno dei pochi che l'ha conosciuto da vicino. Perché ci si rende conto di come sulla ribalta del delitto più famoso mai commesso a Milano, i riflettori siano rimasti puntati solo in una direzione sola: lei, la dark lady Patrizia Reggiani, col suo rancore da moglie piantata in grado di macerare in odio. Sui comprimari le luci sono scivolate via, fermandosi appena sulla maga Auriemma, la cartomante di Patrizia, la prima a farle capire che il desiderio di morte poteva diventare realtà. Eppure il delitto Gucci fu un delitto corale, in cui tutti ebbero un ruolo preciso. E non sarebbe mai avvenuto se in scena (in un'opera verdiana, lo avrebbero preceduto fulmini e tamburi) non fosse alla fine entrato Ceraulo. Perché un delitto si può sognare, volere, organizzare. Ma alla fine ci vuole uno che sappia tirare il grilletto. Uccidere un uomo a sangue freddo non è un gesto alla portata di tutti.
L'altro ieri Ceraulo si è sparato dopo avere sparato a suo figlio, ferendolo appena: pare che gli avesse rigato l'auto. Ci sarebbe da fare ipotesi a non finire su come trent'anni abbiano cambiato un uomo, trasformando un sicario spietato nell'autore di un delitto insensato e maldestro, e poi in un tentato suicida. Trent'anni passati in buona parte in carcere, condannato all'ergastolo (l'unico, di tutti gli imputati) ma uscito un po' alla volta per buona condotta. «L'ultima volta che avevo sentito parlare di lui - racconta l'investigatore che lo ha conosciuto - era detenuto a Pianosa, che non era già più un carcere di massima sicurezza. Viveva all'aperto, allevava le capre». Da due anni aveva lasciato anche Pianosa ed era un uomo libero.
Che tipo è, Ceraulo? «Pericoloso. L'unico uomo di peso in questa allegra brigata del caso Gucci. C'era la Pina Auriemma, una affabulatrice, una mezza imbrogliona che cercava di tirare su qualche soldo. Savioni, l'amico della Auriemma, era uno che faceva movimenti tra Brescia e Milano con le auto taroccate. Cicala, il ristoratore tirato in ballo da Savioni, era una mezza tacca che però era stato al gabbio, e aveva conosciuto Ceraulo. Che invece era un uomo di peso, e lo dimostrò poco dopo l'arresto minacciando velatamente un collega». Del peso di Ceraulo sa qualcosa Claudio Testa, vecchio fotoreporter milanese, cui l'omicida rifilò un calcio in faccia mentre, dopo l'arresto, veniva portato via dal commissariato.
«Non abbiamo mai trovato prove - racconta l'investigatore - che Ceraulo fosse affiliato a qualche cosca mafiosa. Ma i contatti certamente li aveva, e aveva lo spessore per commettere un omicidio di questo tipo. Non era di primo pelo, insomma e io non ho mai escluso che per lui non fosse la prima volta. Con Savioni si poteva scherzare, era uno a suo modo sociale, simpatico. Ceraulo invece era il ghiaccio».
Una sciura della Milano bene, una maga, un cuoco fallito: a pianificare il delitto che portò in via Palestro le telecamere di tutto il mondo era stata una compagnia di impresentabili, che fin dal primo momento erano candidati prima o poi a farsi beccare: anche se a fregarli alla fine fu l'ingordigia, la fame di soldi.
Ma oggi la vera domanda è: chi glielo fece fare al navigato Ceraulo di andarsi a mischiare con dei dilettanti allo sbaraglio? «Me lo sono chiesto anche io e non ho trovato risposta. Forse in quel momento aveva bisogno di soldi»