
A Giovanni Arpino si potrebbe dar ragione, ancor prima che per quel che dice, per come lo dice. L'istantanea che qui sopra ha scattato a sorpresa agli italiani, li ha talmente accecati da lasciarli paralizzati nei loro tic. E mentre sono rimasti immobili, niente è cambiato. Sfidiamo chiunque, ancora adesso, a dissentire su quel campione medio che reputa la coerenza una dote fastidiosa e si sente, in quanto italiano, "persona e non popolo". Siamo, oggi come allora, incapaci di unità ma solo oggi, a differenza di allora, azzoppati di quell'individualismo geniale e risolutivo che ci ha innalzati a esempio malgrado le carenze corali. Questo negarci come insieme, quest'incapacità ontologica di sentirci un tutto che ci ha resi voltagabbana, senza patria e in qualche caso persino vigliacchi, è servito in passato, se non altro, a farci emergere come singoli pieni di estro e istinto e intraprendenza, poi sempre meno. La macchietta italica senza il talento italico è diventata ben poca cosa. Bisogna potersela permettere l'individualità, se no tocca mettersi in branco; ma di farci forza assieme siamo ormai incapaci. E, visto che il paragone è un meccanismo involontario del cervello, a furia di ragionare sui numeri medi, per contrasto, ci sono venuti in mente i numeri uno. Silvio Berlusconi è morto bersagliato dalla magistratura e crocifisso per le sue ombre. Un'eccellenza individualista che non per questo ha negato il senso di patria e tanto meno si è barcamenato in opportunistiche giravolte politiche. Uno che mai è andato a letto da comprimario e sempre si è svegliato da protagonista. Ci ha provato anche lui a renderci popolo, e non solo con la "discesa in campo" del 1994. Ma chi non è capace di sentirsi "noi" disdegna per primi gli esempi. D'altra parte ci siamo sempre trovati bene così: tenendoci in piedi sull'adrenalina di minuscole, inesistenti battaglie quotidiane gli uni contro gli altri, stretti nello spazio angusto della mancanza di prospettiva, anche quando non c'era neppure un premio per cui combattere. Perché da sempre abbiamo tutti, noi italiani, bisogno di uno più piccolo di noi. Il conflitto senza ragione, il confronto senza autocritica.
Poi ogni tanto, ma sempre meno, nasce un genio italico a riscattarci tutti. Perché allora diventiamo improvvisamente "tutti", specie se poi si tratta di linciarlo per fargli pagare il fatto di non essere un "campione medio".