Sindaco e assessori tra i "fischiatori"

Con le dimissioni di Berlusconi, Pisapia si trasforma in ultrà. Boeri farnetica su Cogne e la tv

Quanto è affollato il carro dei vincitori. Ma soprattutto sguaiato. Perché soprattutto a vincere bisogna esser capaci. Ammesso che qualcuno, nella situazione in cui è precipitata l’Italia, possa dir d’aver vinto. Senza mentire a se e agli italiani, quanto spesso incapaci di farsi popolo. E nazione.
E così succede che il giorno in cui il presidente del consiglio sale al Quirinale per consegnare le dimissioni al capo dello Stato, il sindaco di Milano scenda invece in piazza a festeggiare. Che Giuliano Pisapia blocchi per un pomeriggio il traffico tra falci e martello e «Bella ciao». Sventolando cartellini rossi all’urlo di «Espelliamolo, espelliamolo» come un ultrà. «Avanti popolo alla riscossa, bandiera rossa trionferà», cantavano sabato i 5mila radunati dalla Cgil, il sindacato in crisi che s’aggrappa all’anti berlusconismo. Così come fa Pisapia, la cui rivoluzione gentile dall’arancione vira al vermiglio. «Sarò il sindaco di tutti», aveva promesso il giorno dell’elezione. E gli si era creduto. La storia personale e professionale, ma anche quella politica di indomabile garantista parlavano per lui. Ieri, su bacheca Facebook, un lungo messaggio. «Buongiorno Italia! Cinque mesi dopo le elezioni a Milano - si legge a commento delle dimissioni di Berlusconi -, rieccoci a festeggiare un’altra vittoria: stavolta quella del buon senso, per le elezioni ci vorrà ancora un po’ di tempo. Ma noi ne siamo orgogliosi perché allora è vero - come hanno scritto in molti - che Milano aveva aperto la strada! Oggi è terminata un’epoca: fine degli illusionisti e della seconda repubblica. Cominciamo bene la terza con rigore, concretezza e giustizia sociale. La serietà, la sobrietà, la passione civile che ci hanno portato a Palazzo Marino e il risveglio del ’popolo arancione’, stanco di essere umiliato, hanno contagiato il Paese. E dunque, Italia Buongiorno!». Un pensiero legittimo, sia chiaro. Condivisibile o meno. Ma che forse almeno una metà dei milanesi non vorrebbero sentire sulle labbra di quello che, pur non avendolo votato, è il loro sindaco. E da cui vorrebbero sentirsi rappresentati. Bene la libertà di pensiero, ma un ruolo istituzionale impone sobrietà. Che certamente non ha avuto nemmeno l’assessore Stefano Boeri. «Finisce Berlusconi - spiega -, non finisce il Berlusconismo. Non finisce ancora il corto circuito potente che dagli anni ’80 a oggi ha serrato in un unico stile di vita lo spazio simbolico delle immagini televisive e lo spazio materiale delle pratiche quotidiane. Un corto circuito che ha fuso Drive In con le centinaia di nuovi Centri commerciali spuntati in Italia, Casa Vianello con i delitti privati nelle villette di Cogne e Novi Ligure, Dallas con le villettopoli imperfette della Brianza e del Casertano». Questa mancava. Berlusconi colpevole anche di Cogne e Novi Ligure. Il resto è sociologismo spicciolo. Boeri parla di «oscenità esposta del “corpo di un capo” che ci ha portato dentro la mediocrità orrenda (eppure straordinariamente empatica) delle sue ville» e «Impero di sensi sporchi».
Eppure Pisapia e compagni non sarebbero dovuti andare molto lontani per ricevere una bella lezione di stile. «Non mi sento di inviare un messaggio a Silvio Berlusconi.

I potenti si sfidano quando trionfano, non quando soccombono - ha spiegato il leader di Sel, Nichi Vendola - Non bisogna andare alla ricerca del capro espiatorio, non vorrei che improvvisamente l’Italia apparisse improvvisamente un Paese completamente antiberlusconiano, quando invece è stata un Paese largamente berlusconiano». Chapeau! Vendola.

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