Sindone, il caso secondo la scienza

Per parlare della Sindone si può cominciare dai numeri: oltre un milione di pellegrini in quattro settimane a Torino, oltre un milione di contatti sul sito ufficiale (www.sindone.org). In concomitanza con il periodo dell'ostensione, che durerà fino al 23 maggio, due giornalisti indagano su quello che Giovanni Paolo II definì «una sfida per l'intelligenza»: il risultato della loro ricerca è raccolto nel volume «Il caso Sindone non è chiuso», edito dalle edizioni San Paolo e presentato ieri al Circolo della Stampa. Insieme agli autori Bruno Barberis, fisico e presidente della Confraternita e del Centro internazionale di Sindologia, e Massimo Boccaletti, giornalista, ne hanno discusso Cesare Cavalleri e Alberto Camurri. Il telo di lino conservato nel duomo di Torino esercita da secoli un fascino inconfutabile su credenti e non credenti: con una storia travagliata che la vede apparire in Italia, a metà del Trecento, per volontà dei Savoia, la Sindone affascinò anche Carlo Borromeo, vescovo di Milano, che chiese di venerarla per sciogliere un voto fatto durante la tremenda peste del Seicento. Restaurata nel 2002, la Sindone ancora oggi ci parla e secondo gli autori rimane un caso aperto, anzi apertissimo.

Se è vero, com'è stato dimostrato, che le impronte non sono state dipinte, come si sono create? Se è vero che il sudario, come attestano i medici legali, è appartenuto a un uomo morto, perché il corpo impresso non è decomposto, ma appare come il negativo di una fotografia di un giovane, con barba e baffi, deceduto per crocifissione? Se fosse un falso medievale (come vorrebbero gli esami al Carbonio 14, rivelatisi poi inesatti), perché nel tessuto compaiono pollini che crescono solo in Palestina? La Sindone resta un mistero e infatti non è dogma di fede, ma non è un caso che gli ultimi due papi, Wojtyla e Ratzinger, abbiano fortemente voluto ammirarla.

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