Fabrizio De Feo
da Roma
«Né un uomo né un soldo per quellinutile e pericoloso monumento». Il grido di battaglia coniato dal Manifesto alcuni mesi fa ritorna dattualità. E il centrosinistra inizia a sfogliare la margherita in una sorta di grande seduta di autoanalisi per decidere cosa fare del grande progetto per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
La questione è delicata visto che fin quando cè di mezzo la campagna elettorale, dettare un sonante «no» a unopera capace di produrre denari per lo Stato, dare risalto alla nazione dal punto di vista infrastrutturale e turistico e far lavorare migliaia di persone è ancora impresa fattibile. Basta bollarla come lo scempio ambientale voluto dal centrodestra. Ma quando si entra nel campo delle scelte governative la situazione si complica. E così lUnione si spacca tra coloro che imbracciano le armi ideologiche e chiudono la porta. E chi, invece, cercando di rimandare ed evitare di lanciare una sfida diretta al buon senso, si rifugia in una formula attendistico-diplomatica: «Il Ponte? Non è unopera prioritaria».
Al partito dei massimalisti anti-Ponte si iscrive senzaltro il neo ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, che presenta subito il suo biglietto da visita. «Il ponte non si farà - spiega - perché è lopera più inutile e dannosa progettata in Italia negli ultimi 100 anni». Altrettanto tranchant Alfonso Pecoraro Scanio: «Il ponte non si farà, perché nel programma cè scritto che per noi non è una priorità. E non ci sono penali da pagare, perché il progetto definitivo non è stato finito». Più acrobatica ma ugualmente netta la tesi della candidata alla presidenza della Regione siciliana, Rita Borsellino. «Ci sono sfumature diverse nellUnione ma tutti dicono comunque che il ponte non è una priorità. E, quindi, non si fa e basta».
Al partito dei «no ponte» - che si trasforma facilmente nel partito dei «no Tav» - la sinistra riformista deve ovviamente pagare pegno. E così Piero Fassino si adegua: «Bianchi ha detto cose chiare», afferma il segretario Ds. «Non è tra le priorità. Noi piuttosto dobbiamo mettere in campo un programma straordinario di modernizzazione delle infrastrutture della Sicilia». Meno allineato Antonio Di Pietro che lascia trasparire il suo malumore verso il ministro Bianchi, colpevole di uno scippo di competenze. Il messaggio dellex pm è chiaro: «Ciò che si costruisce è mio. Quindi del Ponte spetta a me parlare. Io mi occupo di tutto ciò che deve essere costruito, non costruito e ben costruito. Il collega dei Trasporti di tutto ciò che deve camminare, navigare e volare». E proprio a Di Pietro toccherà dirigere il summit convocato oggi al ministero delle Infrastrutture per analizzare la questione delle penali da pagare al consorzio vincitore e alle banche finanziatrici, in caso di mancata realizzazione dellopera. Per il leader dellItalia dei Valori non mancano spine neppure sul fronte Tav. «Va verificato se per la Val di Susa ci sono le condizioni di sicurezza ambientale o se è il caso di trasferire quella tratta più in là» dice il ministro, tentando di mediare con i pasdaran del suo governo. Ma per il sottosegretario allEconomia, il verde Paolo Cento «in un Paese dove cè ancora un binario unico per diecimila chilometri, la Tav non è una priorità». E Patrizia Sentinelli di Rifondazione rincara: «Credo che la Tav in val di Susa non si farà».
I nodi, insomma, restano stretti e difficili da sciogliere. E se il leader di Alleanza Siciliana, Nello Musumeci, ricorda quando Francesco Rutelli, nel 2001 a Messina, affermò: «Se lUlivo vince le elezioni entro il 2010 i messinesi avranno il loro ponte», lex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, non nasconde la sua amarezza.
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