La sinistra e il vizietto dell’utopia

Organizzare un po' di felicità... Una battuta come questa Romano Prodi deve averla studiata e preparata con cura. Non l'ha lasciata cadere nel dibattito, se l'è riservata per l'appello finale, voleva caricarla di un effetto speciale per lanciare la promessa di un futuro migliore. Forse un'intenzione poetica, ma pericolosa nel momento in cui la politica invade la sfera dei sentimenti e degli stati d'animo. Soprattutto, non si è reso conto di evocare un personaggio letterario, quel Glowworm che è il protagonista di una pièce di Arthur Koestler, «Il bar del crepuscolo». Un poeta che, appunto, prende il potere proprio nel nome della felicità e dell'intento di organizzarla. Caccia il primo ministro in carica, intimandogli: «Allontanati, vecchio manovriero astuto! Hai fatto il tuo tempo». Spiega davanti alla folla accorsa che «dai tempi di Salomone in poi il mondo è stato governato da tecnici ed esperti», che «si sono sempre perduti nei dettagli», che «litigavano, facevano guerre e concludevano trattati di pace, si occupavano di statistiche, di decreti, di interessi legittimi e di tutto, tranne che di felicità». Aggiunge che tutto quello che hanno saputo fare i suoi predecessori è stato «salassare, affamare, purgare, fare ingoiare pillole amare», grida che «il pensiero del passato mi fa tremare», proclama «il primo giorno dell'Età dell'oro». E convince con la più facile delle utopie un popolo spaventato dalla minaccia di una catastrofe. Però a Glowworm, che significa lucciola, Koestler non riservò un successo duraturo. Svanì la minaccia della catastrofe e la gente scelse di tornare ai problemi quotidiani della realtà che il poeta aveva considerato un'insopportabile condizione di infelicità. Prodi è stato più misurato. Non ha promesso l'Età dell'oro, ma non ha resistito alla tentazione di parlare del futuro ricorrendo all'antica suggestione che ha disseminato di sogni il Novecento. In particolare il sogno di un «domani radioso», che non a caso, parola più parola meno, è anche il tratto distintivo della campagna elettorale scelta da Fassino per i Ds. Eppure gli ingredienti del Bar del crepuscolo ci sono tutti. C'è il catastrofismo, usato come grimaldello dell'azione politica. C'è la rappresentazione dell'ancien régime come di un'arida ed inefficace amministrazione del potere. C'è il passato descritto come un incubo da cui uscire solo con un atto di volontà.
Se si pensa che Koestler mise mano alla sua pièce nel lontano 1933, non è difficile accorgersi del fatto che si può essere stati democristiani e presidenti dell'Iri, che si può aver guidato da Bruxelles la Commissione europea, ma che poi alla fin fine non si riesce ad evitare il tranello di un vecchio vizio: il ricorso agli argomenti dell'utopia, cominciando direttamente dal più suggestivo, quello della politica capace di promettere e di organizzare la felicità. Il passar degli anni ha consigliato una piccola correzione laica, quel po', scelto per rendere meno solenne l'impegno preso. Ma la sostanza non cambia troppo. Ci mancava un Glowworm in questa campagna elettorale. Certo a Prodi si può semplicemente chiedere quale felicità sia riuscito ad organizzare per gli italiani quando sedeva a Palazzo Chigi o, per gli europei, quando era a Bruxelles. Ma conosciamo la risposta.

Più utile è capire che quella voce dal sen sfuggita non è un ardito artificio letterario, ma rappresenta la riesumazione di un vizietto culturale. Ad Arthur Koestler dobbiamo riconoscere il merito di avercelo ricordato, mettendoci in guardia da ogni promessa politica di una futura felicità.

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