Con la sinistra al potere 4 governi e 64 ministri

L’Unione ora grida allo scandalo ma quando guidava il Paese il turn over era la regola

Con la sinistra al potere 4 governi e 64 ministri

Emanuela Fontana

da Roma

Passare da Domenico Siniscalco a Giulio Tremonti può essere sconvolgente per gli italiani, ma non lo sarà mai come un cambio di quattro governi in cinque anni. E un alternarsi di 64 ministri in un valzer delle poltrone che ha attraversato un poker di premier. Questo raccontano gli annali di un lustro di governo del centrosinistra, dal 1996 al 2001, nascosti in polverosi armadi in questi giorni di scandalo generale sull’alternanza al ministero dell’Economia.
Ruggiero-Tremonti-Siniscalco-Tremonti è stata la combinazione al dicastero di via XX Settembre in quasi cinque anni del governo Berlusconi. Ma la girandola di ministri non è una novità del Paese, soprattutto non è un’inedita realtà per le forze di opposizione che cinque anni fa erano al governo. Sempre rimanendo in tema di economia, l’Ulivo in cinque anni, e in quattro governi, totalizzò sei ministri. Il dicastero dell’Economia era scorporato in Bilancio, Finanze e Tesoro, non c’era insomma il superministero di adesso.
Ma Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato cambiarono idee varie volte a proposito. Al Tesoro si sono alternati attraverso i quattro governi Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato e Vincenzo Visco, alle Finanze lo stesso Visco durante il governo Amato passò il testimone a Ottaviano Del Turco. Il governo più lungo del centrosinistra durò due anni e mezzo, il più breve quattro mesi: Prodi guidò il Paese dal 17 maggio del’96 al 21 ottobre del ’98, D’Alema da quella data al 22 dicembre del ’99 la prima volta per poi tornare fino al 25 aprile del 2000 con il D’Alema bis. Il quinquennio fu chiuso infine da Amato.
Un ministero molto «frequentato» durante i quattro governi del centrosinistra fu quello dell’Interno: al Viminale si partì con Giorgio Napolitano durante il governo Prodi, per poi passare a Rosa Russo Jervolino con il primo governo D’Alema e ad Enzo Bianco con il D’Alema bis. Un altro palazzo dove i dipendenti hanno chiamato «ministro» tre persone diverse è quello di Grazia e Giustizia. Romano Prodi nel ’96 scelse come Guardasigilli Giovanni Maria Flick, D’Alema lo sostituì con Oliviero Diliberto per un anno e mezzo, finché Amato offrì la poltrona a Piero Fassino. Anche per quanto riguarda i Trasporti non ci fu un incarico fisso a una sola persona. Il designato da Prodi fu Claudio Burlando, arrivò D’Alema e lo sostituì con Tiziano Treu, ma poi cambiò idea e durante il suo secondo governo diede il ministero al collega di partito Pierluigi Bersani, che lo mantenne durante il governo Amato.
Il record però lo ottenne il ministero dei Lavori pubblici: cinque ministri in cinque anni. Al dicastero transitò anche Antonio Di Pietro, che vi rimase appena un mese. Il successore durante il governo Prodi fu Paolo Costa. Si alternarono poi Enrico Micheli, Willer Bordon e Nerio Nesi.
Anche i temi del lavoro furono affrontati da diversi protagonisti, e il ministero del Welfare vide ben tre ministri arrivare e sgomberare la scrivania in cinque anni. Il primo titolare fu Treu, durante il governo Prodi, ma il suo posto fu offerto da D’Alema a Francesco Bassolino, poi sostituito dallo stesso D’Alema con Cesare Salvi, rimasto in carica anche con Amato.
Alla Difesa le cose non andarono molto meglio: triplo svuotamento di cassetti nella «stanza del ministro» tra il ’96 e il 2001. Beniamino Andreatta cedette il posto a Carlo Scognamiglio che a sua volta fu sostituito da Sergio Mattarella da D’Alema durante il suo secondo governo. Ci furono tre ministri anche ai dicasteri degli Affari regionali (Franco Bassanini, Katia Bellillo, Agazio Loiero), delle Politiche comunitarie (Enrico Letta, Patrizia Toia, Francesco Mattioli) e dei Rapporti con il Parlamento (Giorgio Bogi, Gian Guido Folloni, Agazio Loiero e Patrizia Toia).

D’Alema cambiò quindici ministri rispetto alla squadra che era stata del professore, tre dei prescelti li sostituì durante il primo mandato, mentre nel D’Alema bis impose altri nove turn-over rispetto a quella che era stata la sua formazione.

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