Le società e le egemonie culturali

E se noi fossimo loro? Se gli Stati Uniti d’Africa fossero la nazione del progresso e l’Europa un posto dove vivono solo diseredati dalla pelle bianca e malata? E se Maya, figlia di una facoltosa famiglia eritrea, scoprisse di essere stata adottata e decidesse di ritrovare le proprie origini in un lungo viaggio verso Parigi? Abdourahman Waberi, natali a Gibuti, residenza in Francia, racconta tutto questo ne «Gli Stati Uniti d’Africa» (Morellini editore), presentato venerdì scorso a Milano.
Spiega: «Nel mio romanzo dimostro che qualsiasi situazione di egemonia, bianca o nera, è destinata a comportarsi allo stesso modo: ogni società vincente si regge sull’esclusione del resto. I milioni di euro elargiti all’Africa dal G8? Non sempre gli aiuti sono utili: non stimolano il progresso. Finanziare progetti culturali mirati è molto meglio».

Giudicato da suo padre «troppo francese», Waberi è contrario a ogni forma di vittimismo e torna quattro volte all’anno in Africa. Perché? «Non per portare soldi, ma per tenere conferenze ai giovani: è importante far capire loro che la cultura appartiene a tutti in quanto esseri umani».

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