La società Usa ammette: «La responsabilità dei controlli è nostra»

Una segretaria, poi un’altra ancora. Attraverso il cavo del telefono entriamo nella stanza dell’amministratore delegato di Gatx Rail Europe. Siamo a Perchtoldsdorf, borgo impronunciabile dell’Austria. «Johannes Mansbart la chiamerà. Senz’altro - spiega la sua gentile portavoce - al momento è in conference call. Ah, ecco, glielo passo. Anzi no». Dev’essere sigillato con l’imbarazzo il quartier generale europeo di Gatx, il colosso americano che possiede 160mila vagoni cisterna utilizzati per il trasporto di Gpl, derivati del petrolio e altre sostanze. Uno di quei 160mila vagoni è il colpevole della strage di Viareggio.
No, Johannes Mansbart non si fa sentire: per tutto il pomeriggio è sul punto di chiamare, ma tace. La magistratura gli chiederà tutto ma proprio tutto di quel carro-bomba. I documenti, quelli filtrati fin qui, dicono che tutto era nella norma. Il vagone, uno dei ventimila della flotta europea, era stato immatricolato in Germania nel 2004 e poi sottoposto correttamente alla revisione. Quando? È il ministro Altero Matteoli a spiegarlo in Parlamento: «Il 2 marzo scorso presso la società Cima di Bozzolo, in provincia di Mantova». «Era tutto in regola, la manutenzione è stata adeguata», ribatte l’amministratore unico della Cima Giuseppe Pacchioni.
E allora come mai il perno, o asse che dir si voglia, si è spezzato? Come mai presentava tracce di ruggine? Certo, in teoria potrebbe essersi rotto anche nell’incidente, ma è probabile che si sia indebolito prima. O addirittura, che sia nato male. Con un difetto di fabbricazione. Le Ferrovie ribadiscono: «Noi non c’entriamo, noi abbiamo solo noleggiato il treno per trasportare il Gpl, era la Gatx a dover seguire tutto l’iter di ogni vagone: immatricolazione, manutenzione, persino l’indicazione dell’officina in cui svolgere i controlli».
«Sì, è vero, la responsabilità è nostra», è l’unica frase che rimbalza da Vienna. La posizione di Gatx diventa più problematica. «Ci sono due tipi di manutenzione - spiega al Giornale il segretario nazionale di Uil Trasporti Dario Del Grosso - una corrente che si fa spesso, l’altra che poi è la revisione, approfondita, a scadenze fissate dalla legge. In questa fase di controlli, gli ultrasuoni rilevano subito fessure, difetti e guai dell’acciaio». Gli esami agli ultrasuoni sono stati effettuati? Sì o no? Se sì, come mai non si sono concentrati su quel perno?
Tutto era nella norma, ma lo screening potrebbe non essere stato all’altezza. Il condizionale, in questa prima fase, è d’obbligo. Ed è complicato dalle normative che lasciano spazio a interpretazioni e possibili dispute legali: dal momento dell’accettazione del carico fino alla sua consegna, non è più il committente ma la compagnia ferroviaria ad avere la responsabilità che tutto proceda secondo le regole internazionali codificate nel Rid, un codice di novecento pagine. Toccava dunque a Trenitalia verificare la conformità del trasporto, la correttezza della documentazione, persino «effettuare controlli visivi sui vagoni presi in carico». Il check svolto alla partenza, a Trecate, non aveva riscontrato alcuna anomalia. C’è materia per il solito scaricabarile?
E non va dimenticato che anche la cornice legislativa non è adeguata. L’ha spiegato ieri al Giornale il viceministro per le infrastrutture Roberto Castelli: «La normativa europea è a maglie larghe. Non esiste un supervisore e si procede con l’autocertificazione». In questo caso, sotto la responsabilità di Gatx.

Di più: «Le regole italiane sono più restrittive di quelle europee - aggiunge Del Grosso -, l’Europa impone il controllo ogni sei anni, Trenitalia invece ferma i convogli anche prima, in base al chilometraggio effettuato. Purtroppo l’Europa è indietro rispetto all’Italia». Ma con le liberalizzazioni l’Europa ha invaso l’Italia.

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