
Nella mia piccola ma deliziosa chiesetta nella verde periferia della città, il confessionale qualche giorno fa è stato riempito dalla simpatia di un anziano signore, dal fare dimesso, dallo stile umile, dalle mani callose, ma con una profonda intelligenza ironica. Trovo in lui l'incarnazione del detto scarpe grosse cervello fino. La sua passione è la politica di cui è informatissimo per una quotidiana lettura attenta dei giornali, per un paziente ascolto di dibattiti televisivi e persino per una faticosa frequentazione di pagine web. Quando viene a invocare il perdono di Dio - e lo fa con frequenza - la lista dei peccati in realtà è quella dei politici di qualsiasi parte politica che dettagliatamente elenca e argomenta dopo aver dichiarato la sua più grande mancanza che a lui pesa tanto: «prendo la rabbia tanto e spesso perché non è possibile che quello che quell'altro» e via con i cahiers des doléances. L'incipit a volte ha una nota di audace ironia. Questa volta mi ha confidato: «In questo momento di sacrifici tutti devono fare delle rinunce. Anche i politici! Infatti da una parte e dall'altra loro rinunciano ai sacrifici. Che nervoso che mi viene!». Credo che la benedizione di Dio se la guadagni anche solo per il suo senso dell'umorismo. È una grazia averlo. È davvero un peccato quando manca. La sua passione per le cose pubbliche (la res publica direbbero gli antichi latini) è da invidiare ed è la grave mancanza della nostra società da confessare alla vigilia del 2 giugno, la festa della repubblica, che sarà notata dalla stragrande maggioranza come festa
e da una strettissima minoranza per il riferimento alla repubblica. La data ricorda il referendum attraverso il quale, tra il 2 e il 3 giugno 1946, gli italiani scelsero la forma istituzionale dello Stato tra repubblica e monarchia. Vedere la città che si prepara esponendo la bandiera italiana, mi ha fatto tornare un ricordo. Ero in quinta elementare. La maestra lesse in classe a noi ragazzi il libro Cuore di Edmondo De Amicis, soffermandosi su una frase che ci fece poi scrivere sul quaderno: «Chi rispetta la bandiera da piccolo, la saprà difendere da grande». Per fare un forte gesto di provocazione qualcuno brucia la bandiera, invece quell'anziano nel mio confessionale mi ha insegnato che oggi la scelta più rivoluzionaria sia quella di lavare la bandiera della repubblica, simboleggiando che noi vogliamo che i suoi colori risplendano ancora. Per i poeti Carducci e Pascoli il verde ricorda i nostri prati, il bianco le nevi perenni e il rosso celebra il sangue versato nelle guerre. Non mi basta e non voglio credere che sia solo una indicazione di luogo e di data. La scelta del tricolore ha all'origine un riferimento alla rivoluzione francese che mirava ad avere in Fratellanza, Uguaglianza, Giustizia tre obiettivi che chiedono di tradursi in Dignità, Democrazia, Prosperità. Noi oggi abbiamo bisogno che risplenda il verde della speranza, che è la parte attaccata salda al palo sfidando venti contrari e vincendo ogni forza che vorrebbe strappare e sbrindellare. Al verde si unisce il bianco dei principi e dei valori. Il verde e
il bianco sfociano e fioriscono nel rosso del sangue, la linfa dell'amore, quello versato e quello che si fa passione oggi in tanti cuori pulsanti e soprattutto pensanti. Cosa molto più rara. Lo denunciava già Gandhi: «L'uomo si autodistrugge con la politica senza principi, con la ricchezza senza lavoro, con l'intelligenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la religione senza fede». Il mio amico borbotta: «Quello che resta del tricolore? Italiani al verde, notti in bianco e conti in rosso». Il 2 giugno quindi, per me, non è solo la festa della Repubblica ma è la festa della «libertà di scelta»: lo è per il senso della data a cui si lega, lo è per la responsabilità che ancora oggi consegna. «La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte. È ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere.
Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!» rifletteva Piero Calamandrei. Allora buon 2 giugno, perché non sia solo festa ma anche occasione di renderci conto di quanto la cosa pubblica, il bene comune, ci riguarda da vicino perché dall'essere-bene mio viene il ben-essere di tutti.