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Dai numeri di telefono nei bagni degli autogrill alla lista degli stupri: che cosa è cambiato?

In entrambi i casi il corpo femminile viene ridotto a oggetto di consumo. Non è cambiata la violenza ma la nostra capacità di chiamarla col suo nome. E forse, finalmente, non ci fa più ridere

Dai numeri di telefono nei bagni degli autogrill alla lista degli stupri: che cosa è cambiato?
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Una volta si trovavano numeri di telefono scritti con il pennarello sui muri di un bagno. Sopra, un nome – un nome qualsiasi, che potrebbe essere di chiunque: Monia, Maria, Lucia – e una frase: “Fa i pom***i”, o qualche altra promessa di disponibilità sessuale. Succedeva negli autogrill, nelle discoteche, nei bar. Succedeva – eccome – anche nei licei. Era grave anche allora. Solo che si faceva finta di niente. Si chiamava “goliardia”. Veniva liquidata come una bravata, una stupidaggine da adolescenti, una cosa sporca ma innocua. Le ragazze arrossivano, abbassavano la testa, magari cambiavano bagno. Gli adulti sorridevano storto, i maschi ridevano e il mondo andava avanti.

Oggi, al posto di quella scritta, compare una "lista degli stupri". Stessa parete, stesso contesto, stesso sistema di potere. Cambia la parola, cambia la percezione. Non è più una volgarità da ridere sotto i baffi. È una minaccia. Un messaggio di dominio. Un atto di violenza psicologica che simula una pianificazione criminale. La differenza non è nella natura del gesto perché la matrice è la stessa, ma nella sua nudità.

Scrivere "fa i pom***i" e scrivere "lista degli stupri" non sono due mondi diversi: sono due gradini dello stesso meccanismo. In entrambi i casi, il corpo femminile viene esposto, qualificato, schedato, ridotto a oggetto di consumo o di violenza. In entrambi i casi, il messaggio sottinteso è identico: "non sei una persona, sei una cosa su cui possiamo esercitare potere". La verità è che non è aumentata la violenza. Ma finalmente è finita la tolleranza verso l'abuso.

Per decenni abbiamo convissuto con una cultura apertamente sessista, ma l'abbiamo camuffata come se fosse qualcosa da folklore urbano, da maleducazione pittoresca, da "ormoni in subbuglio". Alle ragazze veniva insegnato a non fare troppo rumore, a non essere permalose, a non rovinare la festa. Ai ragazzi veniva inculcata l'idea che certi comportamenti erano stupidi, sì, ma anche quasi naturali, inevitabili. Una specie di esercizio di virilità malata, però socialmente giustificata.

Oggi quella giustificazione non regge più. Non perché siamo diventati tutti più buoni, ma perché finalmente disponiamo di un linguaggio per riconoscere la violenza per quello che è: violenza, anche quando non lascia lividi, anche quando "è solo una scritta". Il termine "stupro" non è più una parolaccia gettata a caso: ha recuperato il suo peso reale, il suo orrore. Per questo, quando appare sul muro di una scuola provoca scandalo e paura. Non perché i ragazzi siano improvvisamente diventati più crudeli, ma perché anche gli adulti hanno smesso, almeno in parte, di essere complici silenziosi.

Non è vero che le nuove generazioni sono peggiori. Ma è vero che non hanno più l’alibi culturale che veniva fornito alle precedenti. Ed è questa la svolta.

La “lista degli stupri” non è una moda oscena e criminale, non è un caso isolato, non è nemmeno solo un fatto di cronaca scolastica.

È lo specchio di una società che per troppo tempo ha minimizzato, ridicolizzato, archiviato come folklore quella che in realtà è sempre stata una pratica di controllo e umiliazione. La differenza, oggi, è che invece di chiamarla “ragazzata”, iniziamo a chiamarla col suo nome: una forma primitiva e vigliacca di violenza. E forse, finalmente, non ci fa più ridere.

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