
L’altra sera alla Mostra del cinema di Venezia avevamo appena finito di vedere Bugonia, il film di Yorgos Lanthimos con protagonista Emma Stone, la ceo di una multinazionale farmaceutica infida e spietata che non si fa scrupoli a distruggere il mondo, quando ci siamo imbattuti nel video che da giorni impazza su Internet in cui, agli US Open, il ceo milionario di un’azienda di costruzioni polacca ruba, in diretta mondiale, il cappellino che il tennista Kamil Majchrzak stava per regalare a un giovane fan. Un gesto di rara rapacità e cinismo che spiega bene, se ancora ce ne fosse bisogno, la deriva di un certo capitalismo dal volto disumano.
Comunque, l’episodio dice molte cose. Che dietro a ogni piccolo uomo c’è sempre una donna più piccola (la moglie che nasconde il cappello nella borsa ride di gusto). Che non solo nello sport, ma anche nel tifo, la competizione è tutto. Che cam e ceo da un po’ di tempo non vanno d’accordo. E che le aziende amministrate con valori così sani per forza fanno miliardi di utili.
Poi ieri si sono sapute due cose. Uno: che il tennista, che già si era dimostrato un gentleman, ha voluto incontrare il piccolo fan per regalargli un altro cappellino autografato. Due: che il ceo ha scritto una lettera pubblica.
Ma non per scusarsi, per
giustificarsi: «È avvenuto tutto velocemente, e io sono stato solo più veloce di lui», ha detto.E lì abbiamo capito che è vero. Non esiste uomo buono che non possa essere migliore. Ma anche uomo cattivo che non possa essere peggiore.