Nessuna religione o cultura può violare i diritti umani

Non mi stupisco ormai più di niente quando leggo di sentenze bislacche o di motivazioni squinternate espresse da magistrati nell'esercizio delle loro funzioni di inquirenti o di giudici

Nessuna religione o cultura può violare i diritti umani
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Caro Feltri, ho letto che a Brescia il pubblico ministero ha chiesto il proscioglimento di un cittadino del Bangladesh che teneva schiava e picchiava costantemente la moglie perché dalle loro parti si usa così. Per fortuna il Gip ha bocciato la richiesta del collega magistrato e ha deciso di mandarlo sotto processo. Non so se stupirmi negativamente per il comportamento del pm o positivamente per quello del giudice. Vorrei un suo parere. Non ho problemi personali di questo genere, e tengo a sottolinearlo. Mio marito non mi ha mai sfiorato neanche con un fiore, ma se fossi disgraziatamente musulmana, denuncerei il pm per apologia di reato.
Agnese

Gentile Agnese, non sono stupito, non mi stupisco ormai più di niente quando leggo di sentenze bislacche o di motivazioni squinternate espresse da magistrati nell'esercizio delle loro funzioni di inquirenti o di giudici. In questo caso, prevale il disgusto sulla meraviglia.

Il pubblico ministero ha benedetto quello che per me è come minimo un (presunto) mascalzone, quale campione da esportazione dell'Islam asiatico, cosa di cui non dubito, ma che la nostra legge non considera un'esimente idonea a giustificare un delitto. Anzi, a essere messa sotto accusa è la signora offesa, originaria del Bangladesh ma cittadina italiana, la quale se la sarebbe cercata dato che «in origine aveva accettato la cultura del marito», che era un po' anche la sua. E questo «impianto culturale» avrebbe dovuto sapere che prevede una liturgia matrimoniale a base di percosse, minacce e vessazioni. Diciamo che il pover'uomo in fin dei conti, secondo il rappresentante della Procura di Brescia, sarebbe stato costretto a praticare i «presunti maltrattamenti» ma a fin di bene, non era animato da cattive intenzioni, non voleva «svilire la vittima»: seguiva usi e costumi pedagogici benemeriti dalle sue parti e nella sua comunità religiosa.

Seguendo il filo logico della pubblica accusa, anzi direi pubblica scusa, non avevano tutti i torti i boia di Auschwitz a sterminare gli ebrei, avendo essi assimilato a scuola e nelle manifestazioni di regime la cultura hitleriana del Mein Kampf.

Venendo ai giorni nostri, ragionando similmente, se un killer di Al Qaida dovesse agire con la scimitarra in qualche convento di Brescia, avrebbe di sicuro l'esimente di essere stato istruito in una madrassa dei seguaci di Osama bin Laden o del Mullah Omar.

Devo dire che sono rimasto invece piuttosto stupito della secca protesta ufficiale del Partito democratico davanti alla sottomissione del magistrato alla bontà della sharia, la legge coranica che autorizza nei confronti di spose e fidanzate l'uso delle mani, della frusta, e in certi casi delle pietre. In questo loro lamento i compagni della Schlein manifestano peraltro una clamorosa incoerenza. Non si può infatti predicare il multiculturalismo come valore fondativo della convivenza, poi scandalizzarsi se in qualche Palazzo di giustizia si considera tollerabile folclore il pestaggio di una persona indifesa.

Non c'è rispetto per una cultura e una religione, qualunque esse siano, che possa giustificare nei confini della galassia l'orrore della violenza e della privazione della libertà personale nei confronti di una donna, di un bambino, di un essere umano. Ho scritto «confini della galassia». Troppo zelo, direi.

Sono diritti universali, mi accontenterei intanto siano fatti valere preventivamente nei nostri confini, con chiunque e per qualsiasi ragione vi si affacci. Chi ritiene la sharia, cioè le norme del Corano, come legge cui attenersi anche solo nel proprio ambito familiare, deve semplicemente sloggiare. Basterebbe un esamino all'ingresso.

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