Lunedì 27 ottobre 2025, all’Università “Magna Græcia” di Catanzaro, è stata inaugurata in modo riservato, ma ufficiale, una sala di preghiera dedicata al culto islamico: la prima di questo tipo all’interno di un ateneo pubblico italiano.
L’iniziativa, promossa dall’associazione di volontariato “Dar Assalam ODV”, che rappresenta una comunità islamica attiva nel territorio calabrese, è stata presentata come un passo di apertura spirituale e inclusione, con un invito rivolto “alle sorelle e ai fratelli musulmani delle comunità locali”.
Un gesto di fede e di comunità, certo, ma anche un evento che solleva una riflessione di natura culturale e istituzionale: dove finisce la libertà religiosa e dove inizia la rappresentanza simbolica dentro spazi che dovrebbero restare neutrali?
Questo credo che sia un precedente che cambia la percezione dello spazio pubblico. Questo è un precedente significativo. È la prima volta che una realtà religiosa apre una sala di culto stabile in un’università italiana.
Non si tratta di mettere in discussione la libertà di preghiera che resta un diritto costituzionale ma di chiarire il ruolo degli spazi pubblici e di regolarne l’uso. L’università è, per sua natura, un luogo di ricerca e confronto critico: l’introduzione di un luogo di culto, per quanto animato dalle migliori intenzioni, modifica la percezione di quello spazio.
Non è polemica, ma una constatazione legittima: anche un gesto simbolico, in un contesto istituzionale, assume automaticamente un valore politico e culturale.
Negli ultimi anni, in Italia, si osserva una crescente visibilità delle comunità islamiche e delle associazioni religiose nei contesti civili, spesso attraverso attività di volontariato, iniziative culturali e progetti di inclusione. È una tendenza legittima se autorizzata dalle istituzioni e dalle regole delineate dalla legge e coerente con la libertà di associazione, ma che richiede un quadro normativo chiaro per evitare ambiguità tra presenza culturale e presenza confessionale negli spazi dello Stato. Le tre regole principali dovrebbero essere per qualsiasi comunità religiosa che voglia operare nel nostro paese Regolarità, trasparenza e legalità.
Un altro aspetto da non trascurare riguarda la regolarità dei luoghi di culto. In diverse città italiane come dimostrano le cronache sono stati scoperti centri o sale di preghiera islamiche sorte senza autorizzazioni urbanistiche o edilizie, cioè senza i permessi di legge necessari.
Un caso emblematico è quello di Monfalcone (Friuli Venezia Giulia), dove due locali usati come centri culturali islamici furono adibiti stabilmente a moschee senza autorizzazioni: il Comune ne ordinò la chiusura e il Consiglio di Stato, nel 2024, confermò che l’uso religioso di un immobile deve rispettare le norme edilizie e di sicurezza.
Non si tratta di criminalizzare la fede, ma di chiedere regole uguali per tutti. Così come una chiesa, un oratorio o una sinagoga devono rispettare norme urbanistiche, lo stesso principio deve valere per ogni luogo di culto, indipendentemente dalla religione.
Poi esiste un tema molto sensibile: Il nodo dei finanziamenti: trasparenza e tracciabilità. Oltre alla regolarità edilizia, resta aperta la questione spesso ignorata dei finanziamenti. In molti casi non è chiaro da dove provengano i fondi utilizzati per acquistare, ristrutturare o mantenere immobili destinati alla preghiera di centri islamici nati in Italia.
Alcune inchieste giornalistiche hanno segnalato ingenti flussi di denaro provenienti da Paesi del Golfo Persico, dalla Turchia o da fondazioni estere per sostenere associazioni religiose islamiche in Italia.
Non è in sé un illecito il finanziamento estero non è vietato ma l’assenza di trasparenza e tracciabilità può generare zone d’ombra, rendendo difficile distinguere tra aiuto comunitario e possibile influenza politica o ideologica.
È dunque giusto e doveroso chiedere chiarezza sui finanziamenti: chi finanzia, con quali modalità, e con quali obiettivi? La trasparenza non è un sospetto, ma una garanzia per tutti. I cittadini hanno diritto di sapere che i luoghi di culto di qualunque religione operano alla luce del sole, con risorse tracciabili e nel pieno rispetto delle leggi italiane.
Qua nasce anche una domanda credo legittima che rappresenta il confronto con la tradizione cristiana ed ebraica. La novità di Catanzaro risalta ancora di più se si considera che mai, nella storia recente delle università pubbliche italiane, sono state istituite sale di culto permanenti dedicate alla religione cristiana o ebraica.
Negli atenei possono esistere cappellanie o spazi di raccoglimento ecumenici, ma sempre in forma neutrale e mai formalmente confessionale. La presenza cattolica si è espressa per decenni attraverso centri pastorali esterni e iniziative culturali, non dentro le aule dello Stato. Allo stesso modo, le comunità ebraiche, pur molto attive nella vita accademica e civile, non hanno mai richiesto spazi di culto in università. Non è una differenza di fede, ma di interpretazione del rapporto tra religione e istituzioni: separare il luogo del pensiero da quello del culto.
Il caso Catanzaro probabilmente rappresenta un cambio di paradigma culturale e politico nel nostro paese. L’iniziativa di Catanzaro segna dunque un cambio di paradigma non solo religioso, ma anche culturale e politico. Se un’università pubblica apre uno spazio dedicato a un culto, dovrà essere pronta, per coerenza, ad accogliere anche gli altri?
Il rischio non è la religione, ma la frammentazione dello spazio comune in tanti micro-spazi identitari.
La questione non riguarda singole comunità, ma il ruolo delle istituzioni pubbliche nel garantire equilibrio tra libertà individuali e neutralità collettiva. Non si tratta di diffidenze o complotti, ma di una dinamica culturale reale che merita di essere compresa, regolata e gestita con trasparenza.
Credo che la laicità debba mantenersi come pilastro nelle università e nella scuola in generale come garanzia di libertà anche se penso che essendo un paese a maggioranza cristiana questa debba essere sempre tutelala e promossa nei nostri istituti pubblici scolastici.
La democrazia non si difende alzando barriere, ma tracciando limiti chiari. Nessuna fede deve sentirsi esclusa, ma nessuna deve essere privilegiata all’interno di spazi pubblici che appartengono a tutti. L’inaugurazione della sala di preghiera della comunità “Dar Assalam ODV” a Catanzaro non è soltanto un episodio locale: è un banco di prova per la laicità della Repubblica.
Come conciliare accoglienza e neutralità? Quali limiti è giusto porre quando una religione entra negli spazi pubblici? E, soprattutto, come garantire legalità e trasparenza senza trasformare la libertà di culto in un privilegio o in un’eccezione?
La libertà di culto è un diritto inviolabile; ma lo è anche la libertà dal culto, quando si entra in una casa del sapere.
Riflettiamoci attentamente.