
Se ti metti davanti a uno specchio e vedi la tua immagine spettinata, puoi provare quanto vuoi a passare le mani sul vetro per sistemarla, ma sarà uno sforzo inutile. Puoi anche arrabbiarti, inveire contro l’immagine scompigliata, accusarla di non migliorare, ma fino a quando non avrai diretto il pettine verso di te, nulla cambierà. La realtà ci pone di fronte poliedriche situazioni che ci destabilizzano e dentro le quali non ci piacciamo: relazioni complesse, obiettivi falliti, dialoghi interrotti, idee non ascoltate, giudizi impietosi, posizioni conflittuali, delusioni amare, debolezze frustranti, incapacità demotivanti, collaborazioni inconcludenti, attese infrante. Troppe volte crediamo che il problema sia davanti a noi, nello specchio. Le negatività le proiettiamo sulla realtà, sugli altri, sui sentimenti, sulle sensazioni, sulle percezioni, sui giudizi, sui pre-giudizi, sui post-giudizi. Ciò che ci infastidisce, invece, a bene vedere, spesso non è altro che la proiezione della verità di noi stessi. Questa idea l’ho ritrovata, espressa con un’altra metafora interessante, in La luna blu di Massimo Bisotti: «Chi non ha la pazienza e la volontà di innaffiare i suoi fiori, dirà di amarli dimenticandosi di dar loro l’acqua necessaria a farli vivere e darà sempre la colpa al clima sfavorevole quando moriranno». Sono due visioni complementari che si arricchiscono a vicenda. Ero indeciso su quale delle due usare
per iniziare questo articolo, alla fine ho pensato che fosse necessario tenerle ambedue come facce della stessa medaglia che si completano partendo dal negativo per portare al positivo. La questione determinante, alla fine, è sempre la valutazione di sé e quanto si è disposti a metterci la testa e a metterci la faccia. In confessionale, ma credo anche nella quotidianità, le parole più pronunciate sono: «Se lui…», «Ma lui…», «Però lui…» che stravincono cento a zero rispetto a «Se io…», «Ma io…», «Però io…». È più forte di noi: vogliamo correggere il mondo esterno senza toccare ciò che muove noi stessi all’interno, ma questo è pettinare lo specchio. Sono sempre gli altri a farci qualcosa, è sempre la vita a punirci, è sempre la sfortuna a scompigliarci. La questione seria non è quella di convincere lo specchio a pettinarsi, l’impegno fondamentale non è quello di quale sforzo fare per cambiare la realtà, quanto piuttosto la serena schiettezza di sorridere - come a volte succede guardando allo specchio in che stato si è - provando a sistemare quello che è possibile. Però bisogna stare attenti perché ogni specchio è cinico: ti sorride se ti poni dinnanzi a lui sorridendo, ti propone invece un’immagine cupa se il tuo modo è oscuro. Sembra ovvio, teoricamente, ma nella pratica richiede fatica e impegno. Guardarsi in faccia e mettersi in questione è una grande conquista e un cammino di formazione della propria interiorità e personalità. È quello che ho cercato di fare in questa rubrica in questi mesi.
Siamo arrivati a 70 articoli, che considero passi in questa direzione, augurandomi di essere riuscito a prendere per mano qualcuno. Spero che aprendo una finestra sul confessionale si sia aperta una porta sulla coscienza di ognuno e, andando avanti, vorrei che diventasse anche un balcone sul mondo. Ogni persona è maestra con le sue bellezze e le sue fatiche, con le sue debolezze e le sue vittorie. Ogni storia è una lezione che mi ha arricchito. Ho voluto farne parte con tutti sperando potesse portare in ognuno autocoscienza e autoironia. C’è un principio che sintetizza bene questo concetto. Non so chi lo abbia formulato perché l’ho trovato attribuito in rete a diversi autori. Sono tre semplici regole che racchiudono una sapienza profonda e che in qualche modo aiutano a guardare la realtà dalla finestrella del confessionale, sintetizzando il cammino fatto. 1) Non promettere quando sei felice, perché l’entusiasmo può ingannare la mente e portarti oltre le tue possibilità; 2) Non rispondere quando sei arrabbiato, perché le parole dettate dalla rabbia lasciano cicatrici che il tempo fatica a guarire; 3) Non decidere quando sei triste, perché la cupezza offusca la chiarezza e le scelte prese in quel momento potrebbero non riflettere la tua vera volontà.
L’antico filosofo greco Aristotele diceva: «La virtù è più contagiosa del vizio, a condizione che sia raccontata». Ci ho provato. Non so quanto sono riuscito a trasmettere della mia esperienza, ma spero almeno di aver fatto venire la voglia di considerare la propria testa e di sorridere davanti allo specchio. Grazie!