Edoardo Camurri è un intellettuale versatile, reperibile nelle pagine di cultura dei giornali, in televisione, alla radio e nelle librerie. Lo ricordiamo come conduttore di trasmissioni di Rai cultura, per esempio Punto di svolta, e della rassegna stampa di Radio3. Il suo nuovo libro è La vita che brucia (Timeo, pagg. 150, euro 18), itinerario filosofico intorno al tema della sofferenza e della liberazione dalla paura.
Camurri, intanto: c'è ancora spazio per la cultura nei media tradizionali?
"La domanda presuppone la circostanza ormai accettata che la cultura sia una mendicante che reclama qualcosa. In realtà la cultura è tutto anche se non tutto è cultura. Ecco, a me interessa parlare di cultura non tanto come un insieme di nozioni, ma come modo, come modo di vita. Innanzitutto la cultura a me pare lo sguardo che abbiamo su questo tutto".
Il libro come oggetto ha ancora senso?
"Ci sono cose inaccessibili agli altri media. Ci sono profondità del discorso che abitano solo lì. I libri sono dunque necessari. L'alternativa è vivere dimezzati, annullati".
E qui infatti parliamo di questo suo saggio. Prende le mosse da una notizia tragica che le ha sconvolto la vita.
"Mi è successa una cosa, nel 2004, a trent'anni: è stato il momento in cui la sofferenza mi ha schiantato. Lo evoco perché volevo che ogni astrazione, ogni speculazione in cui mi avventurassi fosse ancorato e fosse messo alla prova da quell'elemento sconvolgente della vita".
Il testo è racchiuso nel racconto di una giornata...
"Dall'alba di un giorno a quella del giorno dopo. Ho voluto aprire uno spazio rituale, cerimoniale, dove poter osservare la sofferenza che abita ogni essere vivente; il che è cosa diversa che fare un libro sulla sofferenza".
Ci sono riferimenti al pensiero orientale, buddhismo, induismo, rimandi a Schopenhauer.
"Dovremmo cercare di identificarci con i nostri pensieri, sentimenti, desideri, paure, speranze. Non con quella che chiamiamo la nostra biografia. Manteniamo la capacità di osservare dall'esterno. Noi siamo lo sfondo su cui si appiccicano, come portati dal vento, gli avvenimenti della nostra vita. Dobbiamo cercare di liberarci".
Il concetto di Polemos, la guerra?
"Polemos è il labirinto, è il sussulto. L'alba è il momento in cui passiamo dal sonno alla veglia; uno shock violento. Una parte che ho scritto in uno stato ipnagogico. A questo labirinto appartengono anche le aspettative degli altri su di noi, per esempio quelle dei genitori... Invece possiamo trovare un'alternativa di rinascita aldilà di queste aspettative".
Mezzogiorno è il momento dei demoni meridiani.
"La sofferenza è al massimo, ma è anche il momento della liberazione. Da quel momento il libro si pone la questione della circolarità del tempo, della circolarità dell'esperienza vitale. Siamo convinti che le nostre vite scorrono su una linea retta, che le cose che ci interessano siano tutte lì. Cerchiamo di allungarla sapendo che un giorno sarà interrotta dalla morte. Ma le cose che ci stanno davanti sono una rappresentazione. Non abbiamo percezione diretta; sono costruzioni del nostro cervello. Sono già ricordi. È come se questa linea retta si avvolgesse su di sé trasformandosi in un cerchio, che è possibile disegnare solo perché c'è un punto al centro a cui ci arpioniamo per tracciarlo".
Il libro è diviso in due parti.
"La prima parte si rifà al pensiero dei cosiddetti sapienti greci, prima di Socrate, come Eraclito. La seconda parte è vicina alle correnti non dualiste indiane, come lo Shivaismo".
E poi i riferimenti al mondo animale. Soprattutto al gatto.
"Sono convinto che i gatti siano dei maestri spirituali. Le fusa sono come un mantra. Insegnano che noi possiamo stare nel nostro mondo, nella realtà, modulando i nostri stati di coscienza. Il Dao De Jing, testo fondante del taoismo cinese, celebra gli animali".
L'esortazione finale è quella di bruciare tutto...
"Non identificarsi. Quello che si annuncia con violenza a mezzogiorno viene accolto come l'amore e compassione nella notte profonda poco prima dell'alba. È un insegnamento della scuola scettica: gli strumenti della filosofia sono come una scala che ci consente di salire sul tetto, dopodiché va buttata".
Come si parla di filosofia a un largo pubblico?
"La filosofia, quando è stata grande, è stata la risposta al fatto sconvolgente che c'è qualcosa piuttosto che nulla.
Questo fatto incredibile, quando ci investe con l'emozione e lo stupore, diventa il fuoco da tenere acceso e attorno a cui sedersi insieme. Il primo media, il media di tutti i media, è questo fuoco. Se lo teniamo acceso, non c'è essere umano che non possa sentirsi invitato a vivere di questo calore".