Oggi l’Olanda va alle urne e nel Paese che negli ultimi tempi ha fatto parlare delle sue vicende politiche soprattutto per gli exploit dei populisti anti-islamici sembra adesso spirare un vento favorevole alla destra moderata: un vento europeo, visti i recenti risultati in Regno Unito, Ungheria e Repubblica Ceca. Il leader al quale gli olandesi paiono più propensi ad affidarsi è infatti il liberale Mark Rutte, una specie di Nick Clegg che piace ai giovani e che ha fatto campagna elettorale battendo sul tasto dell’amara necessità di tagliare la spesa pubblica. E davvero di tagli dolorosi si tratta, visto che sono quantificati in 20 miliardi di euro.
Rutte annuncia un programma lacrime-e-sangue che in altri tempi sarebbe parso suicida: innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, azzeramento del deficit pubblico entro il 2015 da conseguirsi appunto col restringimento dei cordoni della borsa statale ma anche con significative misure di risparmio da parte della politica, prima fra tutte il dimezzamento del numero dei ministri. È il clima attuale di crisi nera serpeggiante in Europa a far digerire agli elettori olandesi programmi che assegnano la priorità a una gestione oculata dell’economia, relegando in secondo piano il tema dell’immigrazione che aveva fin qui fatto le fortune elettorali del pirotecnico leader del Partito della Libertà (Pvv) Geert Wilders.
Proprio Wilders sembra essere destinato a pagare il prezzo politico più alto della congiuntura economica europea e olandese. L’onda lunga della sua popolarità basata sulla crociata antiislamica in Olanda, toccato l’acme con le elezioni europee dello scorso anno e quelle municipali di tre mesi fa, avrebbe dovuto portarlo a un forte successo elettorale anche oggi. Ma le preoccupazioni dei suoi compatrioti hanno nel frattempo virato verso nuove priorità. Così, i sondaggi assegnano ai liberali di Rutte una quarantina di seggi (circa il doppio degli attuali) e meno di venti a Wilders, che comunque raddoppierebbe a sua volta e potrebbe aspirare (almeno aritmeticamente, perché far entrare al governo gli xenofobi appare arduo) a un posto in un futuro esecutivo di coalizione.
Su Rutte e Wilders appaiono destinati, seppure su piani diversi, a uscire vincitori dalle urne, il centro e la sinistra hanno invece prospettive peggiori. I cristiano-democratici del premier uscente Jan Peter Balkenende professano ottimismo e propongono un programma non troppo diverso da quello liberale, anche se più prudente e diluito nel tempo. Ma sembrano destinati a scontare due problemi, entrambi legati al fatto che Balkenende ha guidato dal 2002 ben quattro esecutivi: la naturale propensione degli elettori a cercare un cambiamento e il fatto che nemmeno uno di quei quattro governi è riuscito ad arrivare in fondo al suo mandato. Balkenende secondo i sondaggi metterà assieme circa 25 deputati (ora ne ha 41) e si troverebbe scavalcato da un altro (relativo) perdente di oggi, il laburista Jacob Cohen, ex sindaco della tollerante Amsterdam e aperto difensore dell’integrazione. I laburisti presentano un programma che tenta di coniugare il necessario rigore in economia con le tipiche ricette della sinistra e quindi propongono un taglio della spesa pubblica di “soli” 10 miliardi di euro, un incremento degli investimenti nella scuola pubblica e il classico aumento delle tasse per i redditi più alti: dovrebbero perdere qualcosa, ma non molto, rispetto ai 33 seggi che hanno adesso.
Altri partiti hanno ottime probabilità di rientrare in Parlamento dopo il voto di oggi: a sinistra i socialisti (bastonati dai sondaggi ma partendo da un patrimonio di 25 seggi) e i verdi (7 deputati uscenti), al centro i moderati di «D-66» (solo 3 seggi, ma dati in ascesa) e l’Unione cristiana, che con i suoi 6 deputati sosteneva il governo di coalizione uscente tra cristiano-democratici e liberali.
Quanto alle ipotesi sul nuovo governo, l’estremismo di Wilders sembra escludere il suo partito dai giochi.
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