La sorpresa dei numeri

Dov’erano, ieri, le Cassandre della finanza pubblica in crisi e del declino economico italiano? Forse impegnate a prolungare il ponte festivo del primo maggio, dopo le fatiche parlamentari; o forse a trattare una poltrona di governo per sé o per gli amici. In un caso o nell’altro, le Cassandre non hanno avuto il tempo di notare due dati: il fabbisogno di cassa del periodo gennaio-aprile è migliorato di oltre 6 miliardi di euro rispetto al 2005; la produzione industriale ha segnato in aprile un rimbalzo dell’1,9 per cento rispetto a marzo e addirittura del 4,3 per cento negli ultimi dodici mesi. Due dati che incominciano a smontare il teorema costruito da mesi dal centrosinistra: conti pubblici allo sfascio, economia allo sbando, governo colpevole.
Una rondine non fa primavera, si dirà. Certo è bene essere prudenti, e nessuno vuole negare le criticità che caratterizzano la nostra economia. Ma quando il governatore della Banca d’Italia - almeno di lui la sinistra si fida, vero? - dice per due volte di fila che la ripresa sta arrivando, quando i meccanismi automatici di riduzione della spesa contenuti nella legge finanziaria cominciano a funzionare, quando la Confindustria conferma il rialzo della produzione industriale, allora è forse venuto il momento di crederci. Se il fabbisogno migliora vistosamente, i conti, come assicurava inascoltato Giulio Tremonti, non sono allo sfascio. Se l’industria riprende a produrre con ritmi superiori al 4%, l’economia non è allo sbando. E se, alla fine, la manovra sui conti pubblici non sarà necessaria, forse il governo uscente non ha operato così male.
L’economia ha i suoi cicli, e come dice Tremonti «il governo non fa il pil». Ma sui conti pubblici l’impatto della politica è inevitabile. Così, vale la pena di ricordare che fra l’impegno preso dal governo Berlusconi con l’Unione Europea e la stima di deficit del Fondo monetario internazionale (fatta prima che questi ultimi dati gettassero una luce diversa sulla situazione) corrono due miseri decimali di punto: dal 3,8 al 4 per cento. Questo potrebbe essere, al massimo, il costo del ciclo elettorale del centrodestra. Nel 2001, la differenza fra deficit programmato (0,8 per cento) e disavanzo certificato dall’Unione Europea (3,2 per cento) è stato ben più elevato: 2,4 punti di prodotto lordo. Questo il costo del ciclo elettorale del centrosinistra. I richiami alla serietà e al rigore facciano i conti con questi due dati.
Romano Prodi e il suo ministro dell’Economia, che a quanto pare sarà il banchiere centrale Tommaso Padoa Schioppa, potrebbero dunque trovarsi in una situazione economica e finanziaria assai migliore di quella descritta dal centrosinistra in campagna elettorale. Le richieste di certificazioni indipendenti, di due diligence, di verifiche accurate saranno probabilmente dimenticate.

Ma senza la scusa del «buco» ereditato dai cattivi amministratori del centrodestra, con quale argomento convinceranno la loro quasi-maggioranza a votare compatta una legge finanziaria 2007 compatibile con gli impegni europei? E, senza il «buco», come faranno Prodi e i suoi ministri a dire agli industriali che non ci sono le risorse per onorare l’ardita promessa di un taglio immediato di cinque punti del cuneo fiscale? Paradossalmente, il centrosinistra sperava nei conti pubblici al disastro. Se così non sarà, come i dati lasciano prevedere, per le Cassandre si apre davvero un bel problema.

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