Sotto inchiesta Sallusti e Porro Perquisita la sede per sei ore

Il direttore e un vicedirettore accusati di violenza privata nei confronti della Marcegaglia in base a inesistenti dossier. Blitz ordinato dai pm di Napoli

Sotto inchiesta Sallusti e Porro Perquisita la sede per sei ore

Alle 8.30 nella sede del Giornale, come nella sede di qualunque giornale, non c’è sicuramente il traffico delle ore di punta. Anzi, non c’è proprio nessuno. E i carabinieri infatti non arrivano per garantire l’ordine pubblico. Hanno in mano un decreto di perquisizione che mostrano in portineria. Possono, anzi devono, trovare e portare via tutto quello che c’è nei computer e nei cassetti di Alessandro Sallusti e Nicola Porro, leggere e sequestrare qualunque cosa possa raccontare come il direttore e il vicedirettore del Giornale fanno il loro mestiere. C’è un’inchiesta in corso perché si ipotizza che il quotidiano stia raccogliendo un dossier di informazioni sul presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. La quale, da parte sua, si sente minacciata nella sua libertà di azione, tanto che l’ipotesi di reato è quella di violenza privata.
Il tempo di mostrare le carte con le firme dei pm di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, e i carabinieri entrano. In borghese, due alla volta. Salgono al terzo piano dove c’è la direzione con l’ufficio di Alessandro Sallusti, e al quarto che ospita la redazione economica dove lavora il vicedirettore Nicola Porro. Ogni tanto il citofono annuncia un nuovo arrivo di militari: «Ne stanno salendo altri due». Alla fine sono una decina, più un perito informatico. Entrano nei locali da perquisire quando arrivano Sallusti e il legale del Giornale.
I modi dei militari del Nucleo operativo ecologico di Napoli sono garbati. Chiedono e garantiscono collaborazione. Quando arriva, il direttore spiega di avere in macchina un personal computer e lo manda a prendere per consegnarlo ai carabinieri. Contemporaneamente altre tre persone si presentano nella redazione romana. Devono persino aspettare che arrivi una segretaria ad aprire la sede. In pochi minuti li raggiunge l’inviato Gianmarco Chiocci che spiega come a Roma direttore e vice non vadano spesso, soprattutto non hanno una loro scrivania, né una postazione di lavoro personale, né una casella di posta. In un’ora e mezzo la perquisizione romana si esaurisce senza alcun sequestro.
I carabinieri invece non guardano l’orologio durante la perquisizione alla sede centrale di Milano, come nelle abitazioni private di Sallusti e Porro, a Como e a Milano. Il sopralluogo non tralascia nulla, neppure l’ipotesi che il dossier possa essere nascosto nel cassetto della biancheria. In redazione i carabinieri restano fin dopo le 14 e ne escono solo con la copia di tutto il contenuto del disco fisso dei computer dei due indagati, Sallusti e Porro, più quella del portatile del direttore, cui a casa viene sequestrato anche un altro pc. I carabinieri verificano anche i telefoni cellulari. Ovviamente dei computer viene copiato tutto il contenuto, file personali compresi. Quello che non possono portare via, semplicemente perché non è mai stato raccolto, è il dossier anti Marcegaglia.
Perché tanto interesse? Perché in Procura a Napoli le comunicazioni dei vertici del Giornale sono vagliate da tempo. In poche ore anche le agenzie di stampa hanno i dettagli e si può ricostruire ogni passo, comprese le parole esatte intercettate. Tutto nascerebbe il 16 settembre, quando Nicola Porro scrive un sms a Rinaldo Arpisella, responsabile dei rapporti con la stampa per Emma Marcegaglia: «Ciao Rinaldo, domani super pezzo giudiziario sugli affari della family Marcegaglia». In una successiva telefonata - si legge in un’agenzia Ansa battuta nel pomeriggio da Napoli, sede della Procura che indaga - Porro dice ad Arpisella: «Adesso ci divertiamo per 20 giorni, romperemo il c... alla Marcegaglia come pochi al mondo». Nel decreto di perquisizione è riportato il testo, ma inevitabilmente non il tono della conversazione che Porro spiega essere stato assolutamente «scherzoso». A riprova chiede che venga diffuso, anche su internet, il nastro con l’audio della telefonata.
Per la procura di Napoli invece è la prova che il Giornale non avrebbe solo esercitato diritto di critica nei confronti del presidente di Confindustria ma avrebbe raccolto materiale al fine di «coartare la volontà altrui». Comportamento che il codice penale traduce con il reato di «violenza privata». Reato contestato a Sallusti e Porro in concorso. Il direttore non ci sta, spiega di non aver mai avuto alcun contatto, in qualsiasi forma, con Emma Marcegaglia o con suoi collaboratori. E annuncia querela contro il procuratore di Napoli, Giandomenico Lepore per l’intervista al sito del Corriere della Sera.

In serata Enrico Mentana, direttore del Tg La7, rivela che i carabinieri hanno acquisito la videocassetta con la puntata di «Omnibus» nella quale Sallusti spiegava come i vertici del «Giornale» fossero intercettati dalla magistratura.

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