Spacciare a 15 anni per «arrotondare» la paghetta mensile

Hanno 16 anni. A volte anche meno. Con la faccia pulita e la fedina penale in bilico. Baby pusher, li chiamano così, perché di giorno vanno a scuola, ma quando suona la campanella si mettono a giocare agli spacciatori. Secondo i dati in possesso del Comando provinciale dei carabinieri il fenomeno si sta espandendo a macchia d’olio. Se nel 2006 erano solo una dozzina i baby spacciatori finiti nei guai con la legge, nel 2007 il numero di minorenni arrestati per spaccio nella Capitale è triplicato. E continua ad aumentare.
Più di 70 i pusher under 18 che si sono ritrovati a dover fare i conti con il peso delle loro azioni in qualche commissariato nel 2008, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Stessa solfa nel 2009: a oggi ne sono stati arrestati altri 58 - e siamo solo a ottobre - dei quali 53 sono italiani. Senza contare gli under 14 sorpresi a vendere droga nelle piazze della città che per la legge non sono perseguibili.
Si credono furbi, forse. Di certo pensano di essere una spanna avanti rispetto ai loro coetanei, quelli che con la paghetta ci vanno al cinema. Loro la paghetta l’arrotondano vendendo la roba per strada e poi con il ricavato se vogliono ci comprano quello che gli pare. Non tutti però lo fanno per i soldi, almeno a giudicare da quanto emerge dai riscontri dei carabinieri. Spacciatori in erba si diventa a prescindere dall’estrazione sociale; tra loro, infatti, non ci sono solo i figli degli operai ma anche quelli della Roma bene che problemi di denaro in teoria non ne hanno. «Si tratta di un fenomeno trasversale», sottolinea il generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri. Il fatto è che a vestire i panni del pusher, pure se baby, all’inizio ci si sente grandi. È come in certi film: bisogna tenere gli occhi aperti, stare alla larga dai poliziotti, non farsi prendere. Una sfida, insomma.
Come detto, però, negli ultimi anni i carabinieri ne hanno acciuffati parecchi di pusher in miniatura, con ancora i brufoli in faccia e nelle tasche dosi di droga preconfezionate pronte per essere vendute: hashish, marijuana, cocaina, in rari casi l’eroina. «Spesso agiscono in luoghi chiusi dove risulta difficile effettuare controlli - spiega il generale Tomasone - come per esempio il cortile della scuola». Diverso il discorso quando escono allo scoperto e decidono di spacciare nei parchi cittadini, nelle vie adiacenti ai locali notturni, oppure nelle piazze del centro storico. È qui che avvengono la maggior parte degli arresti.
Secondo gli esperti la causa del boom dei mini-pusher va ricercata nel consumo anticipato di stupefacenti.

Prima uno inizia ad assumere determinate sostanze e prima incomincia a spacciarle, l’assioma a cui fanno riferimento è più o meno questo. Ma quello che più preoccupa le autorità è che i baby pusher sono in stragrande maggioranza italiani, al contrario dei loro colleghi maggiorenni. Sembrerebbe quasi di avere a che fare con una sorta di moda giovanile.

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